Mentre va avanti il dibattito su «Una parola in comune», la lettera di 138 imam ai leader religiosi cristiani, dal suo principale promotore, il principe Hassan bin Talal di Giordania, è arrivato ieri un altro gesto significativo. Si tratta di una lettera al mondo israeliano intitolata «Riflessioni su una comune eredità», che è stata pubblicata dal quotidiano ebraico Haaretz.
Mentre va avanti il dibattito su «Una parola in comune», la lettera di 138 imam ai leader religiosi cristiani, dal suo principale promotore, il principe Hassan bin Talal di Giordania, è arrivato ieri un altro gesto significativo. Si tratta di una lettera al mondo ebraico intitolata «Riflessioni su una comune eredità», che è stata pubblicata ieri dal quotidiano israeliano Haaretz. In questa lettera non si cita «Una parola in comune», ma il parallelismo è evidente: è un testo scritto alla fine del mese di Ramadan, sottolineando la coincidenza con il mese ebraico di Tishrei, che anche per gli ebrei è il mese sacro che invita alla purificazione. E come per la lettera dei 138 imam, anche in questo testo si citano le Scritture altrui – in questo caso un salmo – per sottolineare la «comune eredità».
Le parole del principe Hassan, lette in un contesto come quello del Medio Oriente, appaiono assolutamente chiare: «Mettere assieme violenza e fede è un’odiosa contraddizione per gli ebrei quanto per i musulmani, e la violenza giustificata da un’errata presentazione della fede è probabilmente la più grande minaccia alla pace oggi nella nostra regione e in tutto il mondo». Un ulteriore testimonianza di come la lettera dei 138 non sia affatto un tentativo di accordarsi con i cristiani a scapito degli ebrei (basterebbe del resto leggere il testo di «Una parola in comune» per vedere come sia citato lo Shemà, la preghiera più cara a ogni ebreo). Qualcosa di importante nel mondo islamico si sta muovendo. Sarebbe molto grave pretendere di chiudere gli occhi.
Clicca qui per leggere l’articolo del principe Hassan di Giordania