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Monsignor Sandri: crediamo al dovere della pace

24/10/2007  |  Roma
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Monsignor Sandri: crediamo al dovere della pace
Monsignor Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione vaticana per le Chiese orientali.

Un «invito alla speranza» e a non perdere fiducia nella «grande forza del dialogo» è stato rivolto il 17 ottobre scorso ai cristiani della Terra Santa e ai leader israeliani e palestinesi dal neo-prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, l'arcivescovo argentino Leonardo Sandri, che proprio in mattinata aveva ricevuto dal Papa l'annuncio che verrà creato cardinale nel prossimo Concistoro del 24 novembre. «La pace è possibile e doverosa: è una nuova mentalità quella che dobbiamo avviare e coltivare, credendo nella sua capacità di preparare la pace, nonostante tutte le smentite anche pesanti che il tempo presente le infligge».


Un «invito alla speranza» e a non perdere fiducia nella «grande forza del dialogo» è stato rivolto il 17 ottobre scorso ai cristiani della Terra Santa e ai leader israeliani e palestinesi dal neo-prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, l’arcivescovo argentino Leonardo Sandri, che proprio in mattinata aveva ricevuto dal Papa l’annuncio che verrà creato cardinale nel prossimo Concistoro del 24 novembre. «La pace è possibile e doverosa: è una nuova mentalità quella che dobbiamo avviare e coltivare, credendo nella sua capacità di preparare la pace, nonostante tutte le smentite anche pesanti che il tempo presente le infligge» ha scandito mons. Sandri nel corso della presentazione dell’ultimo volume della rivista di geopolitica Limes, dedicato a La Palestina impossibile, organizzata dalla Società di formazione Elea alla presenza, fra gli altri, del delegato palestinese in Italia Sabri Atiyah, del primo delegato apostolico a Gerusalemme (1969-1974) cardinale Pio Laghi, del presidente dell’Unione interparlamentare Pierferdinando Casini e del presidente della Commissione Esteri della Camera Umberto Ranieri.

Mentre gli Stati Uniti stentano a far decollare la Conferenza per la pace nel Maryland e l’Egitto ha chiesto un nuovo rinvio dalla fine di novembre ai primi di dicembre per raggiungere un accordo di massima fra le parti, l’arcivescovo argentino per diversi anni sostituto alla Segreteria di Stato del Vaticano ha ribadito la «forte preoccupazione» della Santa Sede per l’esodo dei cristiani e ha riconosciuto che «di certo non si serve la pace se non nella verità e nella giustizia». «Ma penso – ha aggiunto – che sia proficuo battersi in prima persona per contribuire a livello educativo e culturale per quanti hanno specifiche responsabilità a livello politico e sociale, e per le Chiese a livello pastorale, senza perdere troppo tempo nella verifica di chi è più carico di responsabilità nel fallimento della pace. Quel che è importante ricordare è che per i credenti, oltre alla preghiera, la prima forza insostituibile e insuperabile per costruire una società di pace è il dialogo». «La forza del dialogo è ciò che sostiene l’incontro con l’altro ovunque esso si svolga e per questo dobbiamo continuare a credere nel grande potere della parola, affinché si arrivi ad una azione a cerchi sempre più ampi nel tessuto socio-politico» della Terra Santa.

«Invito tutti alla speranza, anche se io per primo sento tutto il peso del ripetersi di atti di violenza umanamente impossibili da sopportare» ha esortato il prefetto, ricordando la sollecitudine espressa da Benedetto XVI nella lettera dello scorso 21 dicembre 2006 ai cristiani di Terra Santa e gli innumerevoli appelli del Papa, tre dei quali nell’arco di 12 giorni lo scorso giugno, perché arrivi finalmente «il dono della pace». Egli ha anche ricordato la preoccupazione della Chiesa per l’inarrestabile emorragia dei cristiani che potrebbe privare un giorno l’intera regione delle «pietre vive» dei suoi fedeli: essi «hanno tutti i diritti di vivere in serenità e libertà nella loro terra».

In un momento cruciale per la ripresa del processo di pace, mons. Sandri ha ricordato come «sia l’umanità intera a stringersi intorno alla Terra Santa e ad auspicare pace e solidarietà per il suo futuro». Essa rappresenta un unicum per la Chiesa anche perché «lì vivono cristiani di diversi riti e confessione, insieme ai fratelli maggiori ebrei e ai credenti musulmani»: la regione del Vicino Oriente rappresenta pertanto per la Chiesa «non solo la memoria della vita di Gesù ma anche un unicum per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso». «Per questo – ha concluso – l’invito alla speranza che vorrei far giungere stasera alla Palestina impossibile è che nulla è impossibile a Dio».

Forti critiche alle responsabilità della comunità internazionale per il fallimento del processo di pace e agli stessi leader israeliani e palestinesi sono state rivolte dal presidente dell’Unione Interparlamentare Pierferdinando Casini, che ha invitato a fare autocritica anche il rappresentante dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) in Italia, Sabri Atiyah. «Caro ambasciatore, dobbiamo tutti quanti fare atti di verità, innanzitutto con noi stessi. Certo, gli Stati Uniti – ha esordito – hanno colpevolmente sottovalutato la grande questione del Medio Oriente, e hanno avuto una iniziativa politica colpevolmente insufficiente. Vogliamo parlare di Europa? L’Europa è inesistente nella questione palestinese. Il ruolo dell’Europa è equivalente allo zero: sia per l’incapacità dell’Europa di sciogliere i nodi e avere una politica estera comune, sia perché sulla vicenda israelo-palestinese tutti i Paesi vanno in ordine sparso proprio perché più delicata è la questione meno c’è la voce europea. Mea culpa – ha aggiunto – la devono fare anche gli israeliani, perché la politica degli insediamenti spesso è stata alimentata anche da questioni di politica interna che oggi rischiano di pesare come macigni: non c’è dubbio che la politica di accoglimento di ebrei sparsi per il mondo ha creato e crea anche oggi grandi difficoltà politiche, perché chi è rientrato è il più accanito nel difendere diritti che forse non sono tali ma che si sono costruiti su basi politiche e giuridiche assai incerte».

Rivolgendosi al delegato dell’Anp, l’ex presidente della Camera ha infine puntato l’indice contro la spaccatura tra Fatah e Hamas e al progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita della popolazione, che pone «rischi gravissimi per la sopravvivenza stessa della minoranza cristiana». «Dobbiamo dare atto a Yasser Arafat e alla dirigenza politica di quell’epoca – ha detto Casini – di avere coltivato un valore importantissimo, che è quello della laicità: è stata garantita tolleranza nei confronti delle minoranze religiose, in particolare dei cristiani. Questo è un punto di cui vi rendiamo merito. Ma proprio per questo dobbiamo denunciare l’aumento dell’integralismo islamico che rischia di compromettere la sopravvivenza dei cattolici in quell’area del mondo. Il pugno di ferro che Hamas sta imponendo a Gaza ha delle conseguenze non solo su radio, tivù, forze di sicurezza… C’è qualcosa di più profondo, che pone dei grandissimi rischi per i cristiani».

Per Casini quello che si sta profilando in Medio Oriente con l’ascesa della Mezzaluna sciita e dell’influenza dell’Iran sulla regione è «uno scontro fra laicità e teocrazia che sta prendendo piede in Palestina come in Libano». Per questo è necessario «realismo abbinato alla fermezza» da parte della comunità internazionale ma anche «un serio esame di coscienza» da parte della leadership palestinese su cosa ha portato al potere Hamas e come reagire al degrado in cui ha trascinato la Striscia di Gaza, che oggi è diventata «un inferno sulla Terra».

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