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Amos Luzzatto: «La mia Gerusalemme»

22/10/2007  |  Milano
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Amos Luzzatto: «La mia Gerusalemme»

La città santa cosmopolita del Mandato britannico e quella di oggi, moderna e trafficata. Amos Luzzatto, medico e storico dell'ebraismo, ricorda con «grande nostalgia» la Gerusalemme della sua infanzia, come la conobbe nel 1941. E invita i leader religiosi che vivono nella città santa a promuovere un avvicinamento «serio, approfondito, alla storia, alla cultura e alle identità degli altri».


Romano di nascita, veneziano d’adozione, Amos Luzzatto è stato dal 1998 al 2006 presidente delle comunità ebraiche italiane. Medico chirurgo e primario ospedaliero, sposato con tre figli, è emigrato con i genitori in Palestina al tempo delle leggi razziali. Direttore della rivista culturale Rassegna mensile di Israel,si occupa anche di ricerche storiche sull’ebraismo in Italia. Tra le figure più in vista del mondo culturale ebraico in Italia, Amos Luzzatto ha concesso a Terrasanta una lunga intervista, nella quale rievoca il suo rapporto tutto speciale con la città santa.

Ecco alcuni stralci del testo, pubblicato sul numero di settembre-ottobre 2007.

Professore, lei arrivò a Gerusalemme nel 1941. Quale fu la sua prima impressione?
Eravamo in fuga dal bombardamento aereo tedesco dal Libano su Tel Aviv. La mia prima impressione di Gerusalemme fu quella di una città ancorata a una storia antichissima, una storia secolare. Perché quando arrivai io, la città nuova, cosi’ come la conosciamo oggi, non esisteva… C’erano piccole strade molte silenziose, molto intime, con caratteristiche che variavano da una strada all’altra. Ricordo che per andare al Muro Occidentale si attraversava un dedalo di viottoli, di viuzze, di calli alla veneziana e all’improvviso in un piccolo spazio si apriva questo Muro enorme che incuteva una suggestione davvero impressionante. Oggi c’è un piazzale davanti ad Ha-Kotel Ha-maaravi. Ed è un piazzale così grande che il Muro Occidentale e’ diventato un piccolo muro a confronto: quella maestosità è scomparsa.

Quali altri luoghi gerosolimitani disegnano questa sua geografia interiore?
Amo ricordare la passeggiata intorno alle Mura di Gerusalemme, che posso dire sia stata migliorata negli anni recenti. Sono stati valorizzati molti elementi antichi. Una cosa certamente è scomparsa: alla Porta di Damasco (una delle sette porte nelle Mura del Saladino, situata a Gerusalemme est, n.d.r.), quando ero ragazzo, arrivavano a tutte le ore del giorno vari dromedari, che si accovacciano per scaricare le merci. Era uno spettacolo unico. Oggi i tempi sono cambiati… ed i dromedari non ci sono più.

Quali volti ricorda della Gerusalemme di quegli anni?
A quei tempi c’erano gruppi di ebrei da molti Paesi, comunità sia ashkenazite che sefardite, che appartenevano ai vecchi insediamenti ebraici di Gerusalemme. Abitavamo in un piccolo borgo costruito con un pozzo al centro e casupole tutt’intorno. C’erano molti ebrei di origine persiana. Io sono vissuto con oriundi italiani, quasi tutti ebrei molto religiosi. In quegli anni il sistema di vita era improntato allo stile di vita dei religiosi. Ricordo in particolare una famiglia che frequentavo spesso: il padre era un ebreo di Gerusalemme di quinta generazione di antenati marocchini, la madre era turca, il figlio aveva la mia età. Abitavano vicino al mercato di Machane’ Yehuda, teatro negli anni scorsi di molti attentati. Il figlio, mio amico, morì nella guerra del ‘48, in un episodio ricordato come quello dei 35 caduti a sud di Gerusalemme.

Quando oggi va a Gerusalemme, cosa la colpisce di più dei cambiamenti?
Vedo un imponente sviluppo, e nell’insieme non posso che ammirare quel che e’ stato fatto. Certo, non posso ammirare il traffico spaventoso… ma quella è una malattia universale. In generale, anche se alcune aree storiche potevano essere risparmiate, posso dire che quasi tutti i vecchi quartieri sono ancora lì, strano a dirsi. Se vado in pellegrinaggio nei luoghi della mia adolescenza, li ritrovo quasi intatti. Persino la scuola che ho frequentato.

Ma come giudica le contese sulla Città da parte delle diverse comunità religiose?
Penso che Gerusalemme non possa perdere il suo sostanziale carattere ebraico. La Bibbia è piena di invocazioni a Gerusalemme, dunque non si può fare di questa città una Brasilia, altrimenti la si distrugge. Ma anche le altre religioni, etnie e culture sono nate là: dunque bisognerà trovare un’urbanistica del tutto inedita che non faccia venir meno le caratteristiche storiche sostanziali della città.

In passato è parlato per i Luoghi Santi di uno Statuto speciale internazionalmente garantito, ovvero non modificabile unilateralmente. Lei che ne pensa?
Mi pare un’idea del tutto scollegata con la realtà. Il problema dell’accesso ai Luoghi santi, se mai ha riguardato qualcuno, ha comportato un divieto per gli ebrei, quando dal 1948 al ‘67 non si poteva andare al Muro occidentale. Non così per i musulmani, né per i cristiani. Il problema è un altro: Gerusalemme e’ in una zona in cui ci si contende anche un centimetro di terra. Il nodo vero allora è capire come si arriva a una convivenza pacifica tra le culture presenti in quell’area: capire le radici e disinnescare questa conflittualità.

Cosa concretamente si può fare secondo Lei per incoraggiare la convivenza fra le varie comunità in Terra santa?
Credo che l’iniziativa valida che i leader religiosi potrebbero prendere è di invitare coloro che si richiamano al loro magistero a visitare la Terra Santa ma per conoscere non solo i luoghi ma anche e soprattutto le altre comunità che vivono lì: con un avvicinamento serio, approfondito, alla storia, alla cultura e all’identità degli altri. Perché quando ci si conosce si tolgono i coltelli fra i denti, e tutti i miti oscuri e minacciosi legati all’immagine del diverso da sé finiscono per dileguarsi. Però bisogna conoscersi sul serio.

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