Sacri Monti, nostalgia di Terra Santa
Fu il desiderio di assistere e partecipare, quasi fisicamente, emotivamente, alla storia terrena di Cristo, e alla sua passione, morte e resurrezione; fu la nostalgia della Terra Santa a dar vita ai Sacri Monti. Lungo tutto l’arco prealpino (in seguito sorgeranno Sacri Monti e Calvari anche in altre parti d’Italia ed Europa), il fedele trovava conferme al suo credo, qui vedeva rinnovarsi la sua speranza. In un cammino comunitario, in un’ascesa personale.
Così, in alto, tra i boschi, in luoghi isolati, eppur non lontani dalla gente, inerpicati sui fianchi delle montagne, sul finire del Quattrocento cominciò a sorgere un «sistema» ordinato e strutturato di cappelle e chiesuole: un moderno pellegrinaggio, un nuovo richiamo alla fede. Ad avere l’idea di questo sacro teatro montano, i francescani. E la cosa non sorprende. Non aveva lo stesso Francesco drammatizzato a Greccio la nascita del Divin Bambino? Non aveva dato, il Poverello d’Assisi, nuova forza e valore alle immagini e ai simboli per parlare di Gesù? Un’intuizione che poco più tardi sarà accolta con entusiasmo dallo stesso san Carlo Borromeo, perchè così bene incarnava la sua idea di un’arte capace di alimentare la fede.
Per questo, fin dalle origini, i Sacri Monti furono veramente pietre vive. Ed eloquenti. Statue a grandezza naturale, innanzitutto, per rendere credibile e immediato il racconto. E poi il colore, per infondere vita. Il tutto affidato ad artisti di talento (da Gaudenzio Ferrari a Tanzio da Varallo, da Francesco Silva al Morazzone), capaci di comunicare con linguaggio semplice e immediato i grandi misteri. Assieme a loro una schiera di artigiani, per lo più anonimi, eppur abili, di gran mestiere. E poi il dato«ambientale». Quasi sempre, infatti, queste sacre rappresentazioni si snodano tra meravigliose vedute panoramiche, in splendida armonia con la natura. Non è un caso, ovviamente. Perchè la contemplazione del Creato, la lode a Dio per tanta bellezza affidata agli uomini era, ed è, parte integrante dell’esperienza di quanti si accostano a questi «grandi teatri montani».