Un ebreo può essere connivente di fronte a un negazionismo? La domanda - volutamente provocatoria - ha accompagnato in questi anni il dibattito sull'atteggiamento del mondo ebraico nei confronti del genocidio degli armeni. Anche una buona parte del mondo ebraico e il governo di Israele - infatti - evitano di utilizzare la parola genocidio per descrivere i fatti avvenuti in Turchia all'inizio del XX secolo. La questione è riesplosa in questi giorni in maniera caldissima nella comunità ebraica di New York, come racconta bene un articolo pubblicato da Shmuel Rosner su Haaretz.
Un ebreo può essere connivente di fronte a un negazionismo? La domanda – volutamente provocatoria – ha accompagnato in questi anni il dibattito sull’atteggiamento del mondo ebraico nei confronti del genocidio degli armeni.
Anche una buona parte del mondo ebraico e il governo di Israele – infatti – evitano di utilizzare la parola genocidio per descrivere i fatti avvenuti in Turchia all’inizio del XX secolo. Questo fondamentalmente per due ragioni: rimarcare l’unicità della Shoah e non turbare i rapporti con Ankara, uno dei pochi Paesi musulmani ad avere relazioni con Israele. Inoltre a «nobilitare» questa posizione ci sono le tesi di Bernard Lewis, secondo cui i massacri contro gli armeni sono da leggere nel contesto di un tempo che conobbe anche atti ostili di segno opposto, e dunque non potrebbero essere definiti un genocidio.
È una spiegazione che ha convinto poco gli armeni. Ma anche in Israele c’è stato chi ha parlato di una «banalità dell’indifferenza», per descrivere il singolare atteggiamento di un Paese che ha fatto della memoria della Shoah uno dei suoi cardini e cala invece un velo su una tragedia per troppi aspetti simile.
La questione è riesplosa in questi giorni in maniera caldissima nella comunità ebraica di New York, come racconta bene questo articolo pubblicato da Shmuel Rosner su Haaretz. Alcune comunità armene americane hanno infatti minacciato di ritirare il proprio appoggio alla campagna No Place for Hate («Non c’è spazio per l’odio») promossa dall’Anti Defamation League, l’associazione ebraica in prima linea nella lotta all’antisemitismo. La motivazione era abbastanza chiara: chiedete solidarietà, ma poi – per ragioni di opportunità – vi rifiutate di appoggiarci nella battaglia sul progetto di legge in discussione al Congresso che (come già accaduto in Francia) vorrebbe sancire la definizione di genocidio per le violenze dei turchi contro gli armeni nel 1915-17. L’Anti Defamation League ha risposto con una svolta clamorosa: attraverso un comunicato firmato dal suo direttore-deus ex machina Abraham Foxman, per la prima volta un’importante organizzazione ebraica afferma sulle uccisioni degli armeni che «se questa parola allora fosse esistita, l’avremmo chiamato genocidio». Foxman scrive di essersi consultato con Elie Wiesel prima di compiere questo passo. E precisa che l’Anti Defamation League rimane comunque contraria al progetto di legge in discussione al Congresso.
Basterà agli armeni?
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