Siamo in molti a trovarci a disagio con una lettura del mondo contemporaneo all'insegna dello scontro fra civiltà. Ci tiene compagnia Stefano Allievi, sociologo e studioso dell'islam in Europa, e in Italia in particolare. In questo pugno di pagine, che hanno più il rango di una conversazione che di un ponderoso saggio, Allievi si dedica, con eloquio efficace e chiaro, a smontare quelle «trappole dell'immaginario» in cui s'impigliano oggi occidentali e musulmani quando si pensano, e catalogano, reciprocamente.
Siamo in molti, forse affetti da modestia intellettuale, a trovare angusta una lettura del mondo contemporaneo all’insegna dello scontro fra civiltà.
Ci tiene compagnia Stefano Allievi, sociologo, docente presso l’Università di Padova, studioso dei flussi migratori e dell’islam in Europa, e in Italia in particolare. In questo pugno di pagine – che hanno più il rango di una conversazione che di un ponderoso saggio – si dedica, con eloquio efficace e chiaro, a smontare quelle «trappole dell’immaginario» in cui s’impigliano oggi occidentali e musulmani quando si pensano, e catalogano, reciprocamente: «Nostro scopo – scrive – è aiutare a decostruire alcune trappole interpretative, che ci impediscono di cogliere i reali processi in corso e le sempre più fitte interrelazioni tra quegli stessi islam e occidente che i nostri reciproci immaginari – di occidentali, di musulmani – credono invece sempre più separati e conflittuali. Perché questo sforzo? A che pro? Perché ci è utile. Perché è umanamente e culturalmente necessario. Di più: perché ne va della stessa nostra sopravvivenza. O, almeno, della sopravvivenza non della nostra civiltà, ma, più profondamente, del nostro essere civili. Del nostro esserlo, non solo del nostro crederci tali».
A parte qualche breve passaggio inficiato dalla vis polemica dell’autore, il resto del discorso di Allievi costituisce una lettura di sicuro interesse e uno stimolo a una riflessione pacata e libera da stereotipi.
Non vogliamo qui dar conto del ragionamento che si dipana nel libro, ma solo offrire qualche brano alla curiosità del lettore. In particolare ci soffermiamo sui luoghi comuni che il testo mette in discussione. Innanzitutto: «L’islam non è uno. Come il cristianesimo, del resto. Come l’occidente (…) Nonostante la percezione comune rimandi a un’idea unitaria, quasi monolitica, l’islam è e rimane una realtà plurale. Tutto ce lo conferma. La diversità culturale, geografica, linguistica, di scuole giuridiche, di atteggiamenti, di comportamenti, di usi e costumi, persino, per quanto lo si ammetta malvolentieri, di teologie, di idee di Dio e dell’uomo. Per non parlare delle possibili declinazioni politiche dell’islam, delle sue conseguenze e del suo impatto sulla società».
Altrove: «Penso alle tre grandi religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo, islam. (…) Guardo il piccolo fazzoletto di mondo in cui tutte e tre sono nate, hanno figliato l’una dall’altra, per poi rendersi autonome, e gareggiare spesso tra loro, come è tipico di tante famiglie. E mi domando. Perché solo due di queste religioni le consideriamo occidentali? A rigore nessuna delle tre lo è. Sono nate in quello che noi stesso chiamiamo Medio Oriente».
E poi: «Che cos’è l’occidente, chi è l’occidente? E quanti occidenti ci sono? (…) Apparentemente l’occidente è un innocuo concetto geografico, senza neppure pretese di centralità: si è a occidente di qualcosa, e tipicamente di un centro, che dunque dovrebbe stare altrove. Ma ha finito per avere soprattutto un valore storico-culturale: l’occidente in sostanza è l’area a oriente della quale non ci sono stati né Umanesimo né Rinascimento né Illuminismo né Riforma né Rivoluzione industriale. Questo almeno fino a quando si limitava all’Europa; oggi che si tende a inglobare in esso, a torto o a ragione, gli Stati Uniti, il Giappone, l’Australia e la Russia e, tra poco, forse, i paesi di nuova industrializzazione del sud-est asiatico, le "tigri" dell’Asia, e un domani l’impero di Cindia, il problema definitorio si fa anche più complicato».
Se non si può parlare di scontro, ma semmai di meticciamento tra civiltà, s’impone uno sguardo conclusivo sull’islam in occidente, perché – osserva Allievi – «in occidente ci si mischia. Inevitabilmente. Ordinariamente. Quotidianamente. Non è nemmeno questione di volontà: semplicemente accade» e dunque non si può continuare «a parlare di islam e occidente come se fossero entità separate, impermeabili, irriducibili».
Se è vero, come è vero, che «l’islam è ormai diventato la seconda religione in quasi tutti i paesi dell’Europa» (nell’Unione Europea si contano circa 15 milioni di musulmani), è altresì vero – secondo Allievi – che «l’islam d’Europa deve giocarsi a partire dalle premesse culturali dell’Europa stessa, trasformandosi. E questo processo già avviene con forza. Siamo noi, in qualche modo allucinati e impauriti dalla dimensione della continuità, dalla paura del passato e di un presente delle società islamiche che legittimamente non ci piace, che non ci accorgiamo di quanto l’islam d’Europa assomigli sempre meno a quello dei paesi d’origine, o meglio vi sia, certo, una continuità religiosa, ma all’interno di un cambiamento culturale assai evidente».