Che un Paese, colpito da una sanguinosa guerra e ora teatro di violenti scontri tra sciiti e sunniti, fosse un terreno fertile per il terrorismo non è una sorpresa. Quello che colpisce l'attenzione di diversi analisti, è la «qualità» del jihadismo che si sta sviluppando in Iraq. È una nuova generazione di fondamentalisti: più preparata e temprata per i combattimenti rispetto ai predecessori antisovietici provenienti dall'Afghanistan.
(e.s.) – L’Iraq non esporta solo barili di oro nero. Dal suo ventre, assieme al petrolio, sgorgano terroristi di matrice islamica pronti a colpire ovunque. Ne sono convinti gli esperti che studiano il fenomeno.
Che un Paese, colpito da una sanguinosa guerra e ora teatro di violenti scontri tra sciiti e sunniti, fosse un terreno fertile per il terrorismo non è una sorpresa. Quello che colpisce l’attenzione di diversi analisti, è la «qualità» del jihadismo che si sta sviluppando in Iraq. È una nuova generazione di fondamentalisti: più preparata e temprata per i combattimenti rispetto ai predecessori antisovietici provenienti dall’Afghanistan.
A Marwan Shehadeh, esperto dei movimenti radicali del Vision Research Institute di Amman, bastano poche parole per fare un ritratto allarmante: «Sono pronti a operare, sono ben addestrati a iniziare una guerra globale per colpire i loro nemici – spiega a Middle East Online – non solo gli Stati Uniti e Israele ma anche i regimi arabi appoggiati dall’Occidente».
La presenza nel campo profughi palestinese di Nahr al-Bared nel Nord del Libano di volontari di nazionalità saudita, giordana, yemenita, e ancora l’arresto in Giordania e in Arabia Saudita di jihadisti provenienti dall’Iraq dimostra come le frontiere non possano fermare il terrorismo. «Sono in contatto tra di loro – aggiunge Shehadeh – perché l’ideologia salafita è diffusa in tutto il mondo arabo e nei Paesi islamici».
In un rapporto pubblicato ad aprile dal governo statunitense, Dennis Pluchinsky, un esperto di intelligence per il Dipartimento di Stato americano, scrive che i veterani dell’Iraq sono molto più pericolosi dei quelli afgani. E le capacità acquisite da questi combattenti legati ad al-Qaeda sono bene esportabili in Occidente: le operazioni dei terroristi nelle città irachene si adattano infatti agli ambienti urbani sia del Vecchio continente sia degli Usa.
«La strada per Baghdad, che era una via a senso unico, è diventata una superstrada a doppio senso – spiega Mohammed al-Masri, ricercatore del Centre for Strategic Studies di Amman, sempre a Middle East Online – Ci sono ancora persone che entrano per unirsi ai combattimenti, ma ora ce ne sono altre che escono, l’Iraq sta esportando terroristi». Le scorte di armi e esplosivi, la loro varietà, gli intensi scontri ingaggiati dai ribelli sono una «palestra» di prima qualità per i combattenti fondamentalisti.