Il dossier del numero di luglio-agosto della rivista Terrasanta è dedicato ad un argomento affascinante e delicato: il futuro di Gerusalemme. Lacerata e contesa, Gerusalemme è oggi uno dei nodi principali e irrisolti del conflitto israelo-palestinese. E a quarant'anni di distanza dalla Guerra dei sei giorni che nel 1967 portò la città sotto il controllo israeliano, non possiamo non esprimere preoccupazione per il fatto che ormai si senta sempre meno parlare dello status di Gerusalemme. Il dossier offre una panoramica esauriente dal punto di vista sia storico sia politico, spiegando le diverse posizioni. Ma qui vogliamo riportarvi l'esperienza concreta di un'organizzazione non governativa israeliana che già oggi si impegna per una città ospitale per tutti i suoi abitanti.
Il dossier del numero di luglio-agosto della rivista Terrasanta è dedicato ad un argomento affascinante e delicato: il futuro di Gerusalemme.
Lacerata e contesa, Gerusalemme è oggi uno dei nodi principali e irrisolti del conflitto israelo-palestinese. E a quarant’anni di distanza dalla Guerra dei sei giorni che nel 1967 portò la città sotto il controllo israeliano, non possiamo non esprimere preoccupazione per il fatto che ormai si senta sempre meno parlare dello status di Gerusalemme. Scrive nel dossier realizzato per Terrasanta Giorgio Bernardelli: «Anche quando timidamente si affaccia qualche ipotesi di negoziato per la pace in Medio Oriente, questo aspetto è continuamente rinviato. Quasi che si trattasse di un rebus insolubile. Si fa tanta poesia sulla Gerusalemme "città delle tre grandi religioni monoteiste". Ma la vera sfida oggi è riportare questo discorso con i piedi per terra. Prendere sul serio questo aspetto che rende unica al mondo questa città e tradurlo in una garanzia concreta di una tutela dell’identità e dei diritti di tutte le comunità che abitano tra le sue mura».
Gerusalemme non è semplicemente la città di israeliani e palestinesi e la soluzione dello status della città non può essere considerata una faccenda bilaterale. Gerusalemme è la città santa per eccellenza, patrimonio delle tre grandi religioni. Per questa ragione la soluzione sullo status della città non può prescindere dal riconoscimento di questa peculiarità.
Il dossier offre una panoramica esauriente dal punto di vista sia storico sia politico, spiegando le diverse posizioni. Ma qui vogliamo riportarvi l’esperienza concreta di un’organizzazione non governativa israeliana che già oggi si impegna per una città ospitale per tutti i suoi abitanti.
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La nostra Gerusalemme? Una città per tutti i popoli
Non sono politici. Di professione fanno l’avvocato, l’urbanista, l’insegnante, l’assistente sociale. Tra loro c’è persino un ex dirigente della polizia. Li incontri e respiri l’aria del più classico comitato di quartiere. Perché ti sciorinano dati sulle 1.300 aule scolastiche che mancano nelle scuole per gli arabi di Gerusalemme Est, sulle 3.500 unità abitative che si aggiungerebbero se venisse realizzato il famoso progetto urbanistico E1, sui prezzi delle case che da quando è stato stabilito il tracciato del muro in città sono schizzati alle stelle. Eppure questa è la cosa più rivoluzionaria che si possa fare oggi a Gerusalemme. Ragionare in termini di vivibilità per tutti in un posto dove tutto alla fine è invece ricondotto ai temi della sicurezza e del conflitto.
È la scomessa di Ir Amim, «Città dei popoli», una tra le più battagliere fra le ong di Gerusalemme. Il direttore esecutivo, Sarah Kreimer, mi accoglie nella sede in St. George Street, nel cuore della moderna Gerusalemme ebraica. Non è un caso. Perché Ir Amim – ci tengono a sottolinearlo – è una ong israeliana. Collabora, certo, anche con organismi palestinesi, ma loro sono tutti israeliani. Solo che immaginano la città come uno spazio che sappia davvero vivere come una ricchezza la presenza delle diverse identità. E lottano perché si cominci da subito.
«Noi guardiamo a Gerusalemme come a uno dei grandi nodi del conflitto – spiega Sarah Kreimer -. Non ci sarà pace finché questo aspetto non sarà risolto. Però non possiamo rimanere qui ad aspettare quel giorno senza fare nulla. In attesa che ci siano le condizioni per raggiungere questo grande obiettivo, noi lavoriamo perché già ora lo sviluppo di questa città sia sostenibile per tutti».
«Qui a Gerusalemme si è da sempre praticata la politica dei fatti compiuti – continua la responsabile di Ir Amim -. È la strategia tipica dei coloni: prima costruiscono gli insediamenti e solo dopo, a posteriori, quando magari in quell’insediamento ormai vivono centinaia di persone, arriva loro anche la copertura politica ufficiale. Noi vogliamo fare l’opposto. Vogliamo lavorare per creare a Gerusalemme situazioni concrete che costringano a fare i conti anche nelle scelte politiche con le diverse identità che danno forma alla città».
Un esempio molto chiaro del loro modo di agire lo si è visto durante la vicenda della passerella del Mughrabi per l’accesso alla Spianata delle Moschee. Un questione che ha infiammato gli animi qualche settimana fa a Gerusalemme. Con i musulmani che accusavano gli ebrei di costruire una nuova struttura che avrebbe permesso anche ai blindati di salire sulla Spianata delle Moschee e gli ebrei ad accusare i musulmani di strumentalizzare quella che era una semplice soluzione alternativa a un terrapieno da tempo inutilizzato perché pericolante.
«Da entrambe le parti c’era chi soffiava sul fuoco – racconta Sarah Kreimer -. Noi invece abbiamo fatto una domanda molto semplice: c’è una licenza per realizzare quella passerella? A quel punto tutto si è fermato. Perché l’aspetto più paradossale è che un’opera dal significato così delicato era stata messa in movimento dalla municipalità senza rispettare nemmeno le più elementari procedure amministrative. Ora il progetto dovrà essere discusso apertamente. E sarà possibile far sentire la voce di tutti». (g.b.)