Le immagini della devastazione all’interno dei locali della scuola delle Suore del Rosario di Gaza scorrono sullo schermo del mio computer (l’assalto, che ha provocato ingenti danni all’istituto, è avvenuto il 14 giugno), proprio mentre il presidente palestinese Abu Mazen, durante il suo intervento alla televisione, dà conto con sguardo corrucciato di attacchi a istituzioni cristiane e perfino dell’incendio di una chiesa «tra le più antiche della Palestina».
La situazione a Gaza, anche a settimane di distanza, appare più che mai problematica. Alla crisi politica e umanitaria (la guerra civile tra Hamas e Fatah, oltre alle incursioni israeliane, ha avuto come conseguenza un rallentamento, quando non il blocco, degli aiuti portati dall’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi) si aggiunge la preoccupazione per la grave situazione dei cristiani locali. «Ci sono stati atti di vandalismo gratuito – ci racconta padre Ibrahim Faltas, parroco francescano di Gerusalemme e rappresentante della Custodia di Terra Santa presso l’Autorità nazionale palestinese -. La comunità cristiana di Gaza è formata da cinquemila persone, di cui 200 fedeli della Chiesa latina guidati da padre Manuel Musallam (di cui parliamo nella rivista a pp. 46-50). Il clima è di grande tensione. I cristiani hanno subìto attacchi da parte di alcune bande di estremisti, che vogliono interrompere l’esperienza di convivenza pacifica che finora ha legato le due religioni nella Striscia».
Effetto collaterale della guerra intestina tra fazioni palestinesi (che si accaniscono a spartirsi un potere che non c’è), potrebbe essere ancora una volta l’esodo dei cristiani, questa volta da Gaza. «Sono nostri fratelli – ha tuonato Abu Mazen -; questi episodi sono una disgrazia per il popolo palestinese». Basterà a fermare la mano degli oltranzisti islamici?