Il 13 luglio scorso al Cairo il patriarca di Addis Abeba Paulos, il papa copto Shenuda III e il catholicos armeno di Cilicia Aram I hanno sottoscritto una dichiarazione comune con l'intento di por fine a una lunga disputa tra le Chiese e rilanciare la collaborazione e l'impegno per l'evangelizzazione all'interno della famiglia ortodossa orientale.Nel documento si riafferma la necessità di intraprendere strade comune nel campo della pace, della formazione teologica, dell'educazione cristiana e della giustizia.Paulos e Shenuda, in particolare, si sono impegnati ad approfondire ed espandere i rapporti di mutuo soccorso e collaborazione.
«Vogliamo porre l’accento sulla importanza di questo incontro e riaffermare l’unità di fede che, lungo i secoli, ha costituito il nostro comune fondamento dottrinale e ha ispirato il nostro insegnamento teologico. Profondamente radicata nella Sacra Scrittura, nella tradizione e nella fede apostolica, nei tre concili (Nicea 325, Costantinopoli 381 e Efeso 431) e nei Padri della Chiesa, specialmente in san Atanasio il Grande, Cirillo di Alessandria e san Gregorio l’Illuminatore, la nostra unità ha sostenuto la vita e la testimonianza delle Chiese ortodosse d’Oriente, divenendo sorgente di forza spirituale e d’impegno missionario».
È il passaggio centrale della Dichiarazione congiunta siglata al Cairo il 13 luglio scorso dal patriarca di Addis Abeba Paulos, il papa copto Shenuda III e il catholicos armeno di Cilicia Aram I.
La Dichiarazione congiunta dovrebbe por fine a una lunga disputa tra le Chiese e rilanciare la collaborazione e l’impegno per l’evangelizzazione all’interno della famiglia ortodossa orientale. Nel documento si riafferma la necessità di intraprendere strade comuni nel campo della formazione teologica, dell’educazione cristiana, della pace e della giustizia.
Paulos e Shenuda, in particolare, si sono impegnati ad approfondire e ad espandere i rapporti di mutuo soccorso e collaborazione. «Non possiamo cambiare il passato – ha commentato Aram I di Cilicia – ma possiamo cambiare il futuro rinnovando la nostra fede e ampliando i nostri orizzonti».
Il documento firmato al Cairo è di grande rilevanza per la Chiesa copta d’Egitto e per la Chiesa ortodossa d’Etiopia. Circa 8 milioni di fedeli la prima, 30 milioni la seconda, le due Chiese sono state legate giuridicamente fino a mezzo secolo fa. Il vescovo di Addis Abeba è dipeso per secoli dalla sede di Alessandria d’Egitto. Il rito etiopico-alessandrino, officiato in ge’ez, l’antica lingua di Axum, ha molte parentele con il rito copto.
La separazione tra le due Chiese non è derivata da alcuna disputa teologica o ecclesiologica, ma da questioni di giurisdizione interna. Nel 1948 l’imperatore di Etiopia Haile Selassie, soprattutto per ragioni di prestigio nazionale, aveva ottenuto da Alessandria d’Egitto di poter elevare alla carica di arcivescovo di Addis Abeba un etiopie. Fino a quel momento tutti i vescovi d’Etiopia erano stati di nazionalità egiziana. Nel 1959 l’arcivescovo Basilio dichiarava l’autocefalia della Chiesa ortodossa d’Etiopia e si fregiava del titolo di patriarca di Addis Abeba, un gesto che congelava di fatto i rapporti tra i due Paesi a livello ecclesiale.
Per il papa copto del tempo, quello di Addis Abeba suonò come un ammutinamento, un’imperdonabile insubordinazione. L’attuale patriarca di Addis Abeba, d’altra parte, non ha mai nascosto, anche in tempi recenti, la sua posizione a proposito della «Chiesa madre» egiziana: «Siamo stati sempre trattati come una Chiesa bambina e abbiamo sempre avuto vescovi stranieri. Abbiamo dovuto aspettare fino a cinquant’anni fa per poter consacrare un patriarca etiope e vedere riconosciuta la nostra tradizione di Chiesa autocefala. E questo è stato possibile anche grazie al nostro imperatore. Ora noi vogliamo vivere in pace, come Chiese sorelle», aveva dichiarato qualche anno fa a un meeting di Uomini e Religioni (l’iniziativa promossa annualmente dalla Comunità di Sant’Egidio).
L’incontro del Cairo, la cui regia è stata attentamente curata dal segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) Samuel Kobia, riavvicina di fatto le due più importanti Chiese orientali d’Africa, che si impegnano a mettere da parte gli antichi dissapori e a camminare insieme. Si può in effetti parlare di un riavvicinamento figlio del movimento ecumenico: Shenuda è stato presidente del Cec dal 1991 al 1998; Paulos lo è attualmente. Aram I, l’artefice dell’incontro, è stato moderatore del Comitato centrale del Cec dal 1991 al 2006.