Instabilità, insicurezza e la speranza nel futuro che si affievolisce. Vivere in Libano, per molti vuol dire provare tutto questo. Non sono solo gli ultimi episodi di violenza, come l'attentato ai caschi blu Unifil, ad aumentare la paura. È ormai dal febbraio 2005 che nel Paese dei Cedri sempre più persone pensano all'espatrio. In un'indagine di alcune settimane fa si leggeva che il 30 per cento dei libanesi vorrebbe emigrare. Se il Paese si svuota e l'economia inevitabilmente frena, il turismo è addirittura fermo. Il flusso dei viaggiatori verso il Libano ha cominciato a rallentare già nell'estate del 2005. Nemmeno quest'anno i turisti torneranno.
Instabilità, insicurezza e la speranza nel futuro che si affievolisce. Vivere in Libano, per molti vuol dire provare tutto questo. Non sono solo gli ultimi episodi di violenza, come l’attentato del 26 giugno ai caschi blu Unifil, ad aumentare la paura. È ormai dal febbraio 2005, quando venne ucciso l’ex premier Rafik Hariri, che nel Paese dei Cedri sempre più persone pensano all’espatrio.
Abdo Asmar, libanese di 24 anni, ha cercato in tutti i modi di andarsene. Da qualche tempo lavora come guardia di sicurezza in una compagnia privata. Un incarico che, date le circostanze, è diventato molto richiesto. Ora è riuscito a guadagnarsi una via d’uscita: gli hanno offerto di lavorare nella cosiddetta zona verde di Baghdad, il cuore superblindato della capitale irachena dove si concentrano gli uffici amministrativi e governativi. Il salario ovviamente è ottimo, dieci volte superione a quello che si intasca in Libano. «Perché dovrebbe importarmi di restare? – si domanda Abdo – rischio di morire in entrambi i casi, preferisco morire ricco».
In un’indagine pubblicata ad aprile e realizzata da Information International, un centro di ricerca indipendente con sede a Beirut, si leggeva che il 30 per cento dei libanesi vorrebbe emigrare, una percentuale che arriva a quota 60 se si considerano solo gli intervistati tra i 18 e i 25 anni. Ma a questo dato se ne aggiunge un altro che rappresenta invece chi già ha lasciato il Libano. Secondo l’economista Elie Yachoui, che appartiene al National Council of Scientific Research, più del 50 per cento dei laureati ha già abbandonato il Paese negli ultimi due anni.
Purtroppo non ci sono cifre ufficiali sull’emigrazione. L’ultimo censimento risale al 1932 e da allora le autorità non raccolgono informazioni sulla popolazione per evitare di compromettere il delicato equilibrio che si è instaurato tra le varie componenti del Paese. Ci sono però altri numeri che possono rendere l’idea: secondo un rapporto della Banca mondiale diffuso a maggio, il 26 per cento del prodotto interno lordo, quasi 5,6 miliardi di dollari, è assicurato dai libanesi emigrati all’estero.
Il Paese si svuota e l’economia inevitabilmente frena. Il turismo è addirittura fermo. Il flusso dei viaggiatori verso il Libano ha cominciato a rallentare già nell’estate del 2005. E nemmeno quest’anno i turisti torneranno a considerare questo Paese mediorientale come meta di vacanza. Si calcola che dal maggio del 2006 allo stesso mese di quest’anno ci sia stata una diminuzione del 33 per cento nel numero degli arrivi. Continuano gli scontri tra l’esercito e i fondamentalisti asserragliati nei campi profughi palestinesi e ora anche l’Unifil, che dovrebbe riportare la stabilità, è diventata un bersaglio: l’inquietudine cresce, il turismo cala e la popolazione è sempre più convinta che sia meglio costruirsi un futuro altrove.