Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia
Luogo di purificazione ed essenzialità, il deserto insegna una dimensione spirituale capace di dare nuove energie anche al «fare» di ogni giorno. Il racconto di un giovane frate francescano.

L’abbraccio del deserto

fra Oscar Mario Marzo
4 giugno 2007
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L’abbraccio del deserto
Fra Oscar durante una delle sue escursioni. Sullo sfondo i ruderi della roccaforte di Masada.

Nella mia esperienza come frate, qui in Terra Santa, Dio non smet­te mai di stupirmi con doni e stimoli sempre nuovi. Nell’ultimo anno ho avuto modo di percorrere sentieri inediti nella conoscenza del Signore. Sentieri non metaforici ma fisici, gli stessi sentieri che hanno percorso gli israeliti, Giovanni Battista e Gesù nel loro incontro con il Signore. Mi riferisco ai sentieri del deserto.

Per me l’esperienza del deserto è stata ed è un’esperienza totalizzante, che mi coinvolge sempre in tutte le dimensioni della persona, da quella fisica a quella spirituale, passando per quella emotiva e affettiva.

Nel marzo 2006 un confratello riuscì a portarmi per quattro lunghi giorni nel deserto del Neghev, nella parte sud di Israele. Quello che più mi colpì fu il silenzio rotto solo dallo scricchiolio dei sassi a contatto con gli scarponi e la luce che, di notte, proveniva dalla Luna e le stelle. Dormimmo all’aperto senza usare la tenda e questa luce era talmente splendente da costringermi a ripararmi gli occhi con il lembo della kefiah per riu­scire ad addormentarmi. Una luce che ci permetteva di muoverci nella zona dell’accampamento anche senza l’ausilio della torcia elettrica. L’arrivo della Luna era una vera e propria «alba» notturna.

Il dono più bello fu sicuramente quello delle lacrime. Lacrime sgorgate in maniera imprevista e copiosa durante la celebrazione eucaristica. Una celebrazione semplice, direi quasi scarna, ma solenne a modo suo, durante la quale sperimentai in maniera indescrivibile l’abbraccio di una presenza, tanto palpabile quanto invisibile. Rientrando in convento mi accorsi che le suole delle scarpe erano state rese pulitissime dallo sfregamento con le pietre del suolo. Allo stesso modo anche io mi sentivo purificato da tante scorie.

In seguito sono tornato varie volte nel deserto, nei pochi ritagli di tempo libero a mia disposizione, prediligendo il deserto di Giuda: Massada, Wadi Teqoa, Wadi Daragie, Wadi Qelt, En Gedi. Ogni volta ho sperimentato qualcosa di diverso rispetto a quello che mi aspettavo, ma il denominatore comune è sempre stata una grande pace; una pace accompagnata da una gioia che coinvolge corpo, cuore, mente e spirito. Ogni volta imparo qualcosa di nuovo su me stesso, su Dio e sul mio rapporto con Lui. Ogni volta posso intendere meglio quello che è stato il rapporto di Israele con Dio, capire meglio cosa può aver vissuto Gesù nei quaranta giorni di tentazione nel deserto e la necessità di san Francesco di appartarsi per contemplare la bellezza di Dio che risplende nella creazione.

Poco tempo dopo la mia route nel Neghev, fui invitato da una famiglia di amici ebrei al Seder Pesach (la Pa­squa ebraica). Nel viaggio verso Tel Aviv condivisi con loro queste mie sensazioni e concordarono con me sul fatto che solo nel deserto Israele avesse potuto avere una relazione così speciale con Dio. Arrivati a Tel Aviv, il capo famiglia mi raccontò che dopo la guerra di Yom Kippur del 1973 molti soldati israeliani, avendo combattuto nel rovente Deserto del Sinai, ritornarono a casa con quella che lui definiva una «sindrome da deserto», cioè una fortissima nostalgia per quei luoghi. Il racconto non mi ha mai stupito, visto che anche io sperimento spesso la stessa nostalgia.

Per quanto mi riguarda, l’andare di tanto in tanto nel deserto sta diventando un mio modo di essere frate in Terra Santa. Un modo, uno stile che sento in armonia e continuità con il mio vivere in una grande fraternità internazionale, con il mio studiare come seminarista, con il servire nei santuari, col tessere relazioni con le popolazioni locali, con lo studio dell’ebraico. Il mio «essere» un frate fisicamente in cammino dà sempre energie nuove al mio «fare» da frate.

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