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A Nazareth la tradizione ha conservato la memoria dell'antica sorgente dove Maria (e forse anche Gesù) si recavano ad attingere acqua. Oggi è racchiusa nella chiesa ortodossa di San Gabriele.

La fontana della Vergine

03/05/2007  |  Milano
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La fontana della Vergine

Tra i segni del mistero delle origini, che le pietre di Nazareth custodiscono e raccontano, c’è un luogo da sempre molto venerato, benché non citato espressamente dai Vangeli canonici: la fontana della Vergine.

Qui secondo il protovangelo di Giacomo, Maria avrebbe avuto il primo incontro con l’Angelo: un’esperienza che la turbò e che la spinse ad affrettarsi verso casa, dove ricevette più compiutamente l’annuncio e la rassicurazione da parte del messaggero del Signore. La tradizione ha conservato memoria di questo luogo, che corrispondeva all’antica sorgente cui attingeva la gente del villaggio ed è bello pensare che proprio lì tante volte si sia recata Maria, in seguito anche con il piccolo Gesù, a prendere acqua.

La falda acquifera scaturisce dalla collina e si trova sulla strada che porta verso Tiberiade: per raggiungerla occorre entrare nella chiesa ortodossa di San Gabriele che oggi la racchiude. A sinistra dell’altare  si trova una piccola cripta a volta di epoca medievale, probabilmente costruita dai crociati, in cui zampilla l’acqua di questa antica sorgente. Fino a qualche anno fa l’acqua veniva convogliata in una conduttura che alimentava la fontana monumentale sul piazzale; poi il flusso fu interrotto dai greci ortodossi, che invitano a entrare nella loro chiesa per visitare la sorgente.

La chiesa di San Gabriele è di epoca piuttosto recente (1750). Esternamente ha un aspetto squadrato, tutta in pietra chiara e, all’interno, lo sguardo del pellegrino resta colpito da una ricca iconostasi di legno intagliato e dorato: domina la figura di Cristo Re con accanto sua Madre e l’arcangelo Michele, ai lati si notano le raffigurazioni della decapitazione di Giovanni il Battista, dell’Annunciazione, di Costantino imperatore e della regina Elena.

Vale la pena sostare nella penombra, ristorati dall’umida frescura dell’interno di questa chiesa, per fare memoria del gesto semplice e quotidiano con cui la santa famiglia di Nazareth condivideva ogni giorno la nostra umanità.

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