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Pasqua secondo Sabbah

05/04/2007  |  Gerusalemme
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Pasqua secondo Sabbah

«La Risurrezione di Cristo ci dona una forza nuova, che ci insegna e aiuta a perdonare e a ristabilire la giustizia». Lo scrive il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah nel suo messaggio per le feste pasquali di quest'anno. In una terra, come la Terra Santa, che è insieme luogo di risurrezione e di morte, osserva il patriarca, «ogni credente, di ogni religione, accetti le conseguenze della sua fede in Dio: che noi siamo tutti creature di Dio e opera della sue mani, e che credere in Dio vuol anche dire accogliere tutti i figli di Dio».


Nel messaggio per la festa di Pasqua che il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, ha diffuso lo scorso 3 aprile leggiamo: «A causa dei nostri peccati e per la nostra pace, Cristo è morto. Egli è morto e resuscitato e ha donato a noi, e a ciascuna persona umana, il potere di vincere la morte che si trova nella profondità del nostro essere, cioè il peccato».

«In tutte le nostre relazioni con la nostra società – prosegue Sabbah -, la Risurrezione di Cristo ci dona una forza nuova, una forza per la vita e per l’amore, che ci insegna e aiuta, a perdonare e, insieme, a ristabilire la giustizia».

Gesù ci dice che lui è la risurrezione e che chi crede in lui non muore, osserva il patriarca, «mentre noi facciamo fronte, nel cuore della Terra Santa, a una realtà permanente di morte, nei suoi vari aspetti, odio, paura, squilibri nei rapporti tra persone e a livello di governanti. La nostra terra è, a un tempo, terra di risurrezione e di morte, ma la sua vocazione e la sua missione fondamentale e d’essere terra di amore e di vita, di vita abbondante per tutti i suoi abitanti di ogni religione. Ciò suppone che ogni credente, di ogni religione, accetti le conseguenze della sua fede in Dio: che noi siamo tutti creature di Dio e opera della sue mani, e che credere in Dio vuol anche dire accogliere tutti i figli di Dio. Dunque tutti accettano tutti, tutti rispettano tutti, nessuno esercita violenza sull’altro, non c’è più forte e più debole, non ci sono occupazione, muri, barriere militari, paura e violenza».

L’ultimo punto del messaggio fa riferimento ai quarant’anni trascorsi dalla guerra dei sei giorni, l’evento che nel 1967 condusse Israele, che reagiva all’attacco dei Paesi arabi confinanti, ad assumere il controllo militare dei Territori palestinesi.

«Quest’anno – riflette mons. Sabbah – commemoriamo quarant’anni trascorsi sul grande squilibrio nella nostra Terra Santa, uno squilibrio che si riflette sulla regione e sul mondo. I nostri governanti e la comunità internazionale potranno infine porvi un termine? La cosa in sé è semplice: due popoli si fanno guerra e uno occupa la casa dell’altro. La soluzione sarebbe che ciascuno stesse in casa sua: israeliani e palestinesi per conto proprio. (…) Occorre assumersi il rischio della pace, mettere fine all’occupazione, per poter avviare il processo di guarigione nella nostra terra, nella regione e nel mondo».

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