«Signore, ho visto in tivù che molti ti scrivevano al Muro del pianto… ». Comincia così una delle lettere finite nella corrispondenza dei frati minori di Gerusalemme. Sulla busta si poteva leggere, in spagnolo, l’indirizzo del destinatario: «Dio, Muro del pianto, Gerusalemme»… Un’altra mano aveva aggiunto «186», che è il numero di casella postale della Custodia di Terra Santa.
Le Poste israeliane dedicano un particolare servizio alla consegna della corrispondenza destinata a Dio presso il Muro occidentale dell’antico tempio. Ma alcune delle lettere indirizzate al Signore vengono recapitate al convento di San Salvatore invece che al Muro del pianto.
Come si spiega questo errore di consegna? Che il destinatario «Gesù, Maria, Giuseppe. Muro del pianto» sia stato rifiutato non sorprende…
La Sacra Famiglia risiedeva a Nazareth, non era stata che di passaggio a Betlemme o in viaggio forzato in Egitto… Quanto alle loro visite al Tempio non erano così frequenti e l’ultima che ci è stata segnalata risale al dodicesimo anno d’età di Gesù.
Neppure la busta «Gesù di Nazareth presso il muro del pianto» è giunta a destinazione… Al Tempio, si sa, Gesù non si era fatto degli amici… e in Oriente hanno la memoria lunga.
Tutto ciò che ha un sapore più o meno cristiano viene scartato … A ciascuno il suo gregge!
Eppure la maggior parte delle lettere recano semplicemente come destinatario, in tutte le lingue: «Dio, muro del pianto, Gerusalemme». Dov’è, dunque, l’errore? Certo la busta che menzionava la «Palestina» non aveva troppe speranze di giungere a destinazione…
Eppure non può essere il nome di un Paese a fare la differenza… Forse c’entra il nome di Dio. Dal momento che per gli ebrei è impronunciabile, esso è anche raramente scritto nel giudaismo, e ciò, non solamente in ebraico, ma in tutte le lingue.
Così, dunque, chi osasse scrivere il nome di Dio, come se fosse un nome comune, banale, avrebbe un’audacia poco ebraica e sarebbe giudicato indegno di avvicinarsi al muro.
Ma allora, perché «Muro del pianto, Israele, da porre al centro del muro», o più semplice ancora «Muro del pianto, Gerusalemme» è arrivata alla Custodia?
Il «Muro del pianto» qui è chiamato Kotel, «il muro», seguito semmai dall’aggettivo HaMa’aravi che significa «occidentale».
Sembra che l’appellativo «Muro del pianto» venga dai Crociati che, arrivando nella città santa il giorno di Tisha BeAv, dedicato al lutto per la distruzione del Tempio, trovarono gli ebrei in lacrime davanti a questo pezzo di muro, ultimo segno del loro luogo santo più sacro. È vero che si piange molto nei pressi di questo muro. Spesso di gioia quando si può, finalmente, toccarlo e, toccandolo, toccare la presenza di Dio. Perché per gli ebrei la presenza di Dio dimora là, tutta intera. E se si piange di tristezza è perché, in presenza di Dio, si può dar libero sfogo al proprio cuore pesante. L’appellativo «Muro del pianto» è dunque eccessivamente restrittivo della fede ebraica e forse per questo qualche funzionario delle poste israeliane lo respinge.
Che cosa fa la Custodia di questa posta? Non potendo depositare le lettere nel luogo a cui sarebbero destinate, ci si è chiesti se fosse opportuno leggerle per «rimetterle» al loro destinatario nella preghiera. Posto che quella di intercessione è una forma di preghiera che dobbiamo a Dio e ai fratelli, alcuni frati prendono visione del contenuto di queste lettere e pregano secondo le intenzioni dei loro autori, così come tutti i frati della Custodia pregano per chi è già stato pellegrino in Terra Santa e per coloro che un giorno verranno.