Il protagonismo diplomatico dell'Arabia Saudita segna il declino del ruolo svolto per anni dall'Egitto nello scacchiere del Medio Oriente? La domanda è rimbalzata al Cairo dal recente vertice della Lega Araba di Riad. Un interrogativo che, sulle colonne del settimanale egiziano Al-Ahram, affronta anche lo storico Anouar Abdel-Malek, uno dei maggiori studiosi dell'era Nasser. Un articolo che offre una prospettiva interessante per guardare a un altro scenario che, sotto traccia ma in maniera non meno significativamente, va muovendosi nella regione.
Le iniziative diplomatiche dell’Arabia Saudita segnano il declino del ruolo svolto per anni dall’Egitto nello scacchiere del Medio Oriente? È la domanda rimbalzata al Cairo dal recente vertice della Lega Araba di Riad. Un interrogativo che, sulle colonne del settimanale egiziano Al Ahram, affronta anche lo storico Anouar Abdel-Malek, uno dei maggiori studiosi dell’era Nasser. Un articolo in cui forse l’intellettuale egiziano calca un po’ troppo la mano, rievocando i tempi che furono. Ma che offre comunque una prospettiva interessante per guardare a un altro scenario che, sotto traccia ma in maniera non meno significativamente, va muovendosi nella regione.
La tesi di Anouar Abdel-Malek è infatti che l’Egitto non sta affatto rinunciando al suo ruolo di potenza regionale, ma si sta piuttosto riposizionando nel gioco delle alleanze. Perché Mubarak guarda sempre meno verso Washington e sempre più verso il nuovo asse Russia-India-Cina. Asse che va guadagnando spazi anche in Medio Oriente. L’attivismo di Putin è ormai sotto gli occhi di tutti. Ma anche la Cina, ad esempio, ha inviato per la prima volta un suo contingente nella missione dell’Unifil in Libano. E, insieme, Cina e Russia stanno facendo pesare il proprio ruolo in Consiglio di sicurezza all’Onu sulla questione delle sanzioni all’Iran. Mubarak – ci ricorda Abdel-Malek – negli ultimi mesi è stato a Mosca e a Pechino. E sta lavorando per rafforzare le relazioni tra l’Egitto e la Turchia, altro grande alleato occidentale in via di riposizionamento. E anche con Ahmadinejad sta scambiando segnali a distanza. Non saremo alla vigilia di un ritorno agli anni Cinquanta. Ma il nuovo asse di ferro tra Washington e Riad forse davvero si spiega anche così.
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