In queste ore Israele celebra la sua Giornata della memoria che cade ogni anno il 27 del mese di Nisan, pochi giorni dopo la Pasqua ebraica. La data ricorda la rivolta del ghetto di Varsavia, il più famoso tra gli episodi di resistenza messi in atto durante la persecuzione nazista. Quella simboleggiata dalla rivolta nel ghetto di Varsavia fu, però, davvero l'unica forma di resistenza ebraica al nazismo? È la domanda che si pone l'articolo che proponiamo oggi, pubblicato in questi giorni sul Jerusalem Post. Matthew Wagner ricostruisce la questione dell'opposizione alla Shoà attraverso la prospettiva degli haredi, i religiosi ultraortodossi.
Come tutti sappiamo – complice anche la vicenda delle proteste vaticane per il pannello dedicato a Pio XII nello Yad Vashem – in queste ore Israele celebra la sua Giornata della memoria. Istituita nel 1951, cade ogni anno il 27 del mese di Nisan, pochi giorni dopo la Pasqua ebraica. Ed è una data scelta per ricordare la rivolta del ghetto di Varsavia, il più famoso tra gli episodi di resistenza messi in atto durante la persecuzione nazista. In quell’occasione un gruppo di ebrei morì con le armi in pugno, anziché lasciarsi condurre ai campi «come agnelli al macello» (come recita il celebre versetto del profeta Isaia). E dunque, nella riflessione degli anni immediatamente successivi alla Shoà, questo evento divenne l’icona per eccellenza del «nuovo ebreo», che d’ora in poi non sarebbe più stato alla mercé delle persecuzioni e avrebbe costruito con le proprie mani il suo destino nello Stato di Israele. Con un sionismo tendenzialmente laico come grande idea guida.
Quella simboleggiata dalla rivolta nel ghetto di Varsavia fu, però, davvero l’unica forma di resistenza ebraica al nazismo? È la domanda che si pone l’articolo che proponiamo oggi, pubblicato in questi giorni sul Jerusalem Post. Matthew Wagner ricostruisce la questione dell’opposizione alla Shoà attraverso la prospettiva degli haredi, i religiosi ultraortodossi. La tesi di fondo è che ci fu un eroismo non meno coraggioso, espresso attraverso l’affermazione della propria identità ebraica anche nei campi di sterminio. Ci furono ebrei che misero a rischio la propria vita per tenere comunque vive le proprie tradizioni, salvare i propri rabbini, pregare e studiare la Torah. Per molti haredi questa era l’unica forma di resistenza davvero efficace. «Per i rabbini – sostiene nell’articolo una studiosa – la minaccia nazista era spirituale e non solo fisica. Non volevano distruggere solo i corpi degli ebrei; miravano anche ad annichilire l’etica ebraica, il senso della giustizia, la compassione, la fede. La via migliore per la resistenza, allora, doveva essere spirituale: tenere saldi gli ideali ebraici, le tradizioni e la fede in Dio».
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