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Alla scoperta dell’homo arabicus

11/04/2007  |  Milano
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Paola Caridi ci offre con questo suo utile libro un «catalogo ragionato degli arabi che non conosciamo, quelli che non fanno i terroristi». Non si tratta, naturalmente, di un «elenco telefonico». In queste pagine si ragiona di società vivaci e in mutamento, contraddittorie magari, ma per nulla asfittiche e per tanti versi non così diverse da noi. Nazioni dalla popolazione in gran parte giovanile e proprio per questo proiettate verso il futuro, nonostante le ombre e le fatiche.


Paola Caridi – giornalista italiana che vive in Medio Oriente dal 2001 – ci parla, in questo suo libro, di donne arabe. Donne velate e non. Donne di oggi e di ieri. Donne di spettacolo e di cultura. Donne e giovani che il velo lo scelgono oggi, dopo averlo rifiutato in passato, per affermare la propria fierezza di musulmane. Dive del passato o cantanti pop dei nostri giorni, che coi videoclip fanno cultura (cultura popolare) e veicolano messaggi non troppo diversi da quelli che rimbalzano tra i giovani dei nostri Paesi.

Il volume narra poi di fumetti e supereroi, che sono gli stessi (giapponesi o americani) con cui siamo venuti grandi anche noi. Affiancati ora anche da creazioni di nuova generazione, partoriti da menti musulmane per il giovane pubblico musulmano.

Si enumerano registi, poeti e vignettisti per nulla ossequienti al potere politico (in contesti in cui ciò può costare anni di carcere o l’esilio, se non la vita stessa) e capaci di sentire il polso e gli umori di popolazioni spesso in larga parte analfabete.

Procedendo nella lettura si incontrano blogger che vogliono varcare i confini della blogosfera araba, per comunicare anche col resto del mondo, a cui si protendono con l’impiego di inglese e francese. Figli di Al-Jazeera, li definisce l’autrice, perché dalla celebre emittente televisiva hanno appreso a esporre il punto di vista arabo senza censure e con il ricorso alle più avanzate tecnologie e linguaggi mediatici. Alcuni di loro – accade in un Paese come la Tunisia – pagano a caro prezzo la loro libertà di espressione. Altri si tengono alla larga dalla politica pur di non perdere il loro spazio in Rete.

La Caridi ci propone quindi uno sguardo sull’emigrazione, sguardo gettato dal sud del Mediterraneo, là dove, come in Marocco, confluiscono volumi consistenti di rimesse, inviate da lavoratori che per lo più sono gente onesta e alacre, spesso diplomata o laureata.

Apprendiamo, da queste pagine, quanto i ricchi arabi del Golfo possano, a volte, essere mal tollerati dai «fratelli» egiziani e nordafricani, che guardano a loro con quella sorta di amore-odio che lega e contrappone molti europei agli statunitensi.

Siamo condotti a navigare nell’etere televisivo che parla arabo e apprendiamo che il successo transnazionale non arride solo a canali all news come la già citata Al-Jazeera, ma anche a emittenti generaliste e di intrattenimento che appartengono a magnati che, grazie alla loro debordante ricchezza, scritturano artistici e producono programmi in regime di quasi monopolio. Accanto a loro si muovono uomini (e donne) d’affari intenti a reinvestire i proventi del petrolio in attività – in patria e all’estero – capaci di assicurare benessere anche quando i giacimenti di oro nero che hanno fatto la fortuna di quei Paesi si esauriranno.

Nel quinto capitolo si parla di futuro guardando all’amaro presente. Vi si raccontano le difficoltà degli studenti palestinesi, utenti di scuole senza fondi e magari difficilmente raggiungibili per via del Muro, l’orribile manufatto grigio che ferisce la Terra Santa. Cattiva notizia che fa il paio con un’altra: nella scuola pubblica di varie nazioni arabe sale il tasso di abbandono scolastico, frutto di un crescente impoverimento e disagio sociale.

Proprio qui l’autrice cita il ruolo positivo delle scuole cristiane (incluse quelle dei francescani) nei Paesi arabi: istituzioni in cui crescono gomito a gomito, anche se magari separati in base al sesso, allievi musulmani e cristiani.

Proprio la buona reputazione di queste scuole, osserva Paola Caridi, ha fatto sì che «quando sono arrivate le rivoluzioni nazionaliste, sono stati soprattutto i musulmani a tentare di difendere le scuole private religiose nei paesi in cui erano a rischio di nazionalizzazione. La difesa è stata infruttuosa, ma il segnale mandato allora è stato chiaro: le suore (e i preti) si erano guadagnati il rispetto dei loro clienti». I quali, spiega l’autrice «ritengono che la scuola privata gestita dagli istituti religiosi cristiani sia sempre stata, nella tradizione araba, la vera scuola laica (…) Sin dalla loro nascita, le scuole cristiane non hanno aspettato che i musulmani facessero il primo passo, che ci fosse reciprocità tra le fedi (…) In esperienze che hanno, talvolta, ben oltre un secolo di storia, gli studenti sono studenti. La religione delle famiglie di provenienza è solo un elemento da aggiungere al ritratto del bambino che arriva a scuola, ma non tocca il programma, che anche quando lambisce argomenti di una fede non esclude l’altra».

Lo stile letterario di Paola Caridi in questo «catalogo ragionato degli arabi che non conosciamo» è quello del cronista, scarno e scevro da ogni ricercatezza linguistica. Il libro ci appare utile e umile (nell’accezione più nobile del termine). Proprio per questo ve lo segnaliamo.

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