Bassa affluenza, in Egitto, al referendum di ieri, lunedì 26 marzo, sulle controverse modifiche costituzionali approvate dal Parlamento solo una settimana prima. Secondo il ministero della Giustizia è andato alle urne il 27 per cento degli aventi diritto, ma la consultazione è comunque regolare. La campagna governativa di mobilitazione ha fallito e le opposizioni, che avevano invitato a boicottare le urne, cantano vittoria. Le riforme passano comunque perchè 8 votanti su 10 si sono pronunciati per il sì. Secondo alcuni le nuove norme sono come un funerale della democrazia, in nome della lotta al terrorismo.
I Toro erano stati privilegiati con l’appellativo di «lanterna della grande adunanza popolare». Ai Cancro si raccomandava di «non prendere impegni», mentre gli Scorpione erano stati esortati a contattare gli amici «per partecipare insieme al futuro della patria». La mobilitazione governativa, insomma, non aveva risparmiato i media nazionali egiziani, come mostra l’oroscopo pubblicato sabato dal quotidiano al-Akhbar. Eppure l’affluenza al referendum di ieri, 26 marzo, sulle controverse modifiche costituzionali approvate dal Parlamento egiziano il 20 marzo scorso non è stata affatto travolgente. E se il dato sulla partecipazione (appena il 27 per cento di aventi diritto al voto, secondo il ministero della Giustizia) non inficia la regolarità della consultazione, per la quale non era necessaria alcuna maggioranza, resta comunque l’impressione di una chiamata alle urne snobbata dagli egiziani.
Per la cronaca, i «sì» alle riforme hanno vinto con il 75,9 per cento dei consensi, ma per vari motivi era proprio il dato sull’affluenza a contare di più. I partiti di opposizione, infatti, a partire dal movimento dei Fratelli musulmani, avevano annunciato il loro boicottaggio contro i provvedimenti parlamentari fortemente voluti dal presidente Hosni Mubarak. Gli analisti, quindi, non esitano ora a definire la bassa partecipazione al voto come una loro vittoria. Senza contare, peraltro, che il dato ufficiale del 27 per cento è fortemente contestato non solo dalla stessa opposizione, ma anche da numerose organizzazioni non governative e associazioni indipendenti per i diritti umani, come Amnesty International, che hanno fissato l’asticella della partecipazione popolare ad un livello non superiore al 5-6 per cento, sconfessando così il governo egiziano.
A proposito delle riforme, diversi osservatori non hanno esitato a parlare della «fine della democrazia» in Egitto, paventando un ritorno allo Stato di emergenza del 1981, anno dell’ascesa al potere di Mubarak dopo l’assassinio di Sadat. Dei 34 emendamenti alla Costituzione approvati dal Parlamento, tre in particolare sembrano suffragare le critiche degli analisti internazionali. Il nuovo articolo 88, ad esempio, stabilisce che a supervisionare i processi elettorali sia un’Alta commissione di giuristi di nomina governativa, che andrà a sostituire in questo ruolo la magistratura indipendente, largamente indebolita. La riforma dell’articolo 179 irrigidisce invece oltremisura le norme antiterrorismo, disponendo la possibilità per le autorità di arrestare presunti sospetti anche se appartenenti a partiti politici, interrogarli sotto tortura, congelare i loro beni, perquisire le loro case, farli giudicare da tribunali militari e non civili. Molto controversa anche la modifica all’articolo 5, che vieta la partecipazione all’attività politica a quei movimenti che si basano su principi religiosi. I Fratelli musulmani, che possono contare sul 20 per cento dei seggi in Parlamento, non potrebbero in questo modo presentare una propria candidatura alle elezioni presidenziali.
Il movimento, a questo punto, potrebbe dover scegliere di evitare riferimenti espliciti all’islam per cercare di sbarrare la strada all’elezione di Gamal Mubarak, indicato come successore del padre alla guida dell’Egitto, quando nel 2011 scadrà il mandato dell’attuale presidente. «Questi emendamenti sono un colpo mortale per la democrazia», dice senza mezzi termini Nasser Amin, direttore del Centro Arabo per l’indipendenza della Giustizia. Le autorità tentano invece di smorzare i toni e far rientrare le modifiche costituzionali sopra citate nell’ambito della lotta al terrorismo. «A volte è necessario sacrificare, pur con certi limiti, diritti e libertà individuali per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico», ha chiosato lo speaker del Parlamento, Fathi Surus.