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Perché la Striscia di Gaza non diventi un altro Libano

22/03/2007  |  Milano
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In un articolo sul Jerusalem Post il giornalista Tommy Lapid, già ministro nel penultimo governo Sharon, esamina (e rifiuta) l'idea che circola tra le destre israeliane: riprendere il controllo militare della Striscia di Gaza e avviare una meticolosa ricerca degli armamenti che Hamas sta ammassando, per evitare che il movimento islamista raggiunga la capacità operativa degli hezbollah libanesi. L'invasione, scrive Lapid, non darebbe frutti. Meglio tenere duro con l'embargo al governo palestinese per indurlo a più miti consigli. Senza escludere estremi rimedi.


Tommy Lapid è un personaggio molto noto in Israele. Giornalista graffiante, alla fine degli anni Novanta scelse la via della politica, fondando il partito laico di centro-destra Shinui, che conobbe una discreta fortuna nelle elezioni del 2003. Lui stesso fu ministro della Giustizia nel governo Sharon, prima di vedere il suo partito finire schiacciato dall’operazione Kadima. Da allora Lapid si è ritirato dalla politica; attualmente è direttore del museo di Yad Vashem. Ma non rinuncia, comunque, a intervenire di tanto in tanto nel dibattito pubblico, con i suoi articoli pubblicati sul Jerusalem Post.

E quello pubblicato ieri è decisamente interessante, perché dà l’idea di quanto stia montando nella destra israeliana l’idea di un’incursione in grande stile a Gaza, che di fatto cancellerebbe il ritiro voluto da Sharon nell’agosto 2005. Il ragionamento è questo: dobbiamo evitare che con Hamas si ripeta lo stesso copione sperimentato con gli Hezbollah l’estate scorsa. E quindi c’è bisogno di un’azione che vada a colpire a fondo i depositi di armi che si vanno riempiendo nella Striscia.

Lapid si schiera apertamente contro questa ipotesi. «Siamo già stati là – scrive -; abbiamo già invaso, controllato, cercato, arrestato, ucciso – e abbiamo anche già cercato in maniera persino ossessiva i corpi dei nostri soldati. Che cosa abbiamo ottenuto di buono da tutto ciò?». Lapid indica piuttosto un’altra strada: quella di rimanere fermi nel boicottaggio del governo Haniyeh, finché non opterà veramente per una linea più moderata. «Se non domani, forse potrebbe succedere in un anno o due», sostiene. Fermezza condita con una minaccia: quella di un «bombardamento senza precedenti» nel caso il governo Hamas dovesse scegliere la strada della terza Intifada. «Aiuterà? Non lo sappiamo – conclude Lapid -. Ma quel che è certo è che non funzionerà un’incursione a Gaza».

Clicca qui per leggere l’articolo del Jerusalem Post

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