La Santa Sede incoraggia l'esecutivo palestinese di unità nazionale ad assumersi le responsabilità che gli competono verso il suo popolo e la comunità internazionale. Lo dice mons. Pietro Parolin, funzionario della Segreteria di Stato vaticana e sottosegretario per i rapporti con gli Stati. Ma non basta. Tutte le parti in causa devono diventare capaci «di sentire sulla propria pelle il dolore e la sofferenza dell'altro così da interrompere la catena dell'odio, della vendetta e della ritorsione», come ammonisce il Papa.
Aspettative e incoraggiamento dalla Santa Sede per il nuovo governo palestinese di unità nazionale che «deve essere responsabile verso il suo popolo e verso la comunità internazionale», mentre si torna a spronare i cristiani di Terra Santa a svolgere un ruolo di riconciliazione e pacificazione tra le comunità ferite dal decennale conflitto. Con questi auspici il sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, mons. Pietro Parolin, guarda alla ripresa dei negoziati in Medio Oriente, in un’intervista a margine della Conferenza internazionale per rilanciare il processo di pace israelo-palestinese svoltasi qualche giorno fa a Roma, nella sede della Fao.
«La Santa Sede ha preso parte come osservatore a questa conferenza delle Nazioni Unite sul rilancio del processo di pace – spiega Parolin – perché ha un grande interesse alla ripresa dei negoziati e spera si giunga a quella soluzione negoziata e pacifica auspicata da molte parti. È noto a tutti quello che la Santa Sede ha fatto in passato ed anche in questi due giorni gli esponenti delle varie religioni insistevano sulla volontà di pace. C’è la volontà di arrivare a una soluzione negoziata, quindi la nostra presenza qui vuol essere soprattutto una presenza di interesse e di incoraggiamento».
Come giudica la formazione del nuovo governo palestinese di unità nazionale?
Credo ci siano molte aspettative perché la formazione di questo governo costituisce un compromesso tra le varie forze politiche e avviene dopo un periodo di violenza che una volta di più ha colpito i palestinesi. La comunità internazionale si aspetta che questo governo possa proseguire in modo responsabile quel processo di pace che è nelle aspettative di tutti, concludere la pace con Israele e allo stesso tempo dare vita a quello Stato indipendente e sovrano dei palestinesi che fa parte della soluzione che la Santa Sede appoggia.
Lei ha richiamato i ministri tanto di Fatah quanto di Hamas al principio di responsabilità.
Certamente, la responsabilità è il punto principale. Questo governo deve dimostrare responsabilità nei confronti della popolazione prima di tutto, una popolazione che ha sofferto e che continua a soffrire per la situazione in cui vive, ed anche nei confronti della comunità internazionale: è chiaro che solo con la collaborazione del governo si può avviare un processo che porti a dei risultati concreti.
Da più parti si levano appelli anche al Quartetto (Onu, Usa, Unione Europea e Russia) perché sostenga gli sforzi del neonato governo.
La Santa Sede ha sempre privilegiato l’approccio multilaterale, dunque anche per risolvere il conflitto israelo-palestinese. La Santa Sede ha appoggiato fin dall’inizio la Road Map e spera che – anche con questi ultimi segnali positivi della formazione del governo insieme all’interesse per la ripresa del dialogo – la Road Map possa essere percorsa passo dopo passo ed arrivare alle conclusioni, anche con la convergenza di tutte le parti in causa.
Lei ha ricordato ampiamente nel suo intervento la lettera inviata a dicembre dal Papa ai cristiani di Terra Santa.
Vorrei che questa lettera fosse maggiormente conosciuta sia a livello locale che mondiale. Il Papa l’ha scritta per incoraggiarli nel loro difficile compito di essere cristiani e cattolici di Terra Santa e offre due indicazioni molto preziose. La prima è lo spirito, la compassione come capacità di accogliere l’altro e di com-patire, di sentire sulla propria pelle il dolore e la sofferenza dell’altro: finché non si arriva a questo non si interromperà la catena dell’odio, della vendetta, della ritorsione. E poi il metodo, il metodo del dialogo perché, dice il Papa, solo un paziente e umile dialogo potrà portare delle soluzioni. È interessante notare come il Papa accenni al fatto che questo metodo si è rivelato già efficace in molte situazioni che erano state devastate dalle violenza e dal conflitto: quindi non è un pio desiderio ma già si vedono delle prove che il metodo del dialogo può dare dei frutti e dei risultati.