Da qualunque punto di vista lo guardi – religioso, turistico, monumentale, archeologico, storico, razionale o sentimentale – il Monte del Tempio (Har Habbayt, come lo chiamano gli ebrei) o Recinto Nobile (Haram ash-Sharif, com’è chiamato dai musulmani) rimane uno dei luoghi più misteriosi e affascinanti di Gerusalemme. Chi vive a Gerusalemme è solito chiamarlo semplicemente «la spianata», termine che riflette la topografia: il recinto che racchiude le due moschee (al-Aqsa e Qubbat es-Sakhra) comprende un’area pianeggiante di ben 480 per 300 metri.
Per le implicazioni politiche e religiose connesse con la situazione presente in Gerusalemme, ogni cosa riguardante quest’area finisce col generare polemiche tra le parti. L’archeologia non fa eccezione.
Sarebbe bello venire a conoscenza, se necessario anche con l’uso del piccone, di ciò che rimane del monumento più celebre dell’antica Gerusalemme, il Tempio. Ma una certa mentalità religiosa (non esclusivamente musulmana) vi vede una profanazione del luogo santo. D’altra parte esiste il fondato timore che le scoperte archeologiche possano essere usate dagli uni come un’arma politica per sottrarre proprietà o uso di edifici e terreno agli altri. L’archeologia come arma politica.
Da qui vengono le accuse fatte agli ebrei di scavare gallerie che penetrano nei sotterranei delle moschee. L’ultima volta questa accusa, accompagnata da fotografie prese in segreto, si è udita in una conferenza stampa tenuta nel mese di gennaio. Da qui vengono le contro-accuse rivolte ai musulmani di distruggere o nascondere i resti antichi, per esempio, in occasione del restauro delle cosiddette «Stalle di Salomone» (moschea Marwani per i musulmani) e apertura delle nuove porte di accesso a questo luogo.
L’archeologo israeliano Gabi Barkai, setacciando la terra della discarica, ha dimostrato quante antichità avrebbero potuto e dovuto essere recuperate. Un falsario ha anche cercato di approfittare della situazione facendo passare per scoperte cose che sono poi state riconosciute come artifizi. Il campo di battaglia principale di tutte queste polemiche è stato Internet. L’ungherese Tibor Grull ha annunciato il ritrovamento di un’iscrizione latina proveniente da questi scavi. Una fotografia è stata pubblicata in anteprima sul quotidiano israeliano Haaretz. Seguirà la pubblicazione scientifica. Proveniente da un ignoto edificio monumentale di Aelia Capitolina, l’iscrizione frammentaria (misura 97 per 75 centimetri) menziona il generale romano Flavio Silva, conquistatore di Masada (73 d.C.) e governatore della Giudea fino all’anno 80 d. C.
Al Muro del Pianto (o Muro Occidentale – hakotel hamaaravi) sono in corso lavori di sistemazione che comprendono limitati scavi archeologici curati dal Dipartimento delle Antichità di Israele (Israel Antiquities Authority) per conto della Fondazione (Western Wall Heritage Foundation) che gestisce l’area di fronte al Muro. Quest’area era parte del quartiere magrebino (musulmano) della città, fino alla guerra del 1967, perciò si sono avute proteste da parte palestinese. Dal punto di vista archeologico, per l’epoca romano-bizantina sono stati ritrovati resti di una strada lastricata, la seconda per importanza della città. Dell’epoca erodiana è stato individuato un bagno rituale (miqveh), parte di abitazione privata, e un tratto di acquedotto che portava l’acqua in città da una sorgente nei pressi di Betlemme (acquedotto inferiore). Altre antichità verranno ancora alla luce nella costruzione del nuovo ponte destinato ad attraversare la piazza.