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I pontieri di Pax Christi

05/03/2007  |  Milano
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I pontieri di<i> Pax Christi</i>
Don Fabio Corazzina, con barba e riccioli, attorniato dai piccoli allievi e dalle insegnanti di una scuola materna parrocchiale di Baghdad. Gli è accanto il vescovo caldeo Shlemon Warduni.

Per la natura tipica del conflitto mediorientale, la Terra Santa è anche il crocevia dell'azione di molti organismi internazionali - pubblici o privati, di matrice religiosa o laica - che promuovono iniziative miranti ad agevolare la convivenza fra i popoli oppure che prendono le difese dei civili palestinesi nei Territori occupati. Tra gli altri vi è anche il movimento cattolico Pax Christi. Il Medio Oriente non è il suo unico ambito d'intervento, ma certamente assorbe non poche energie. Abbiamo chiesto a don Fabio Corazzina, coordinatore nazionale del movimento, di disegnare per noi il profilo di Pax Christi e di parlarci brevemente delle sue azioni in Terra Santa.


Abbiamo incontrato don Fabio Corazzina, coordinatore nazionale di Pax Christi, per conoscere più da vicino le iniziative di questo movimento cattolico internazionale, molto attivo anche in Terra Santa nella promozione di iniziative di dialogo e di pace.

Don Fabio, quando è nata Pax Christi e quali sono i suoi ideali?
La nostra è una storia interessante che ha inizio in Francia durante la seconda guerra mondiale. Pax Christi è germogliata da due semi d’ispirazione: un religioso – Pierre Marie Théas, vescovo di Montauban , nel sud della Francia (fu uno dei pochi vescovi a protestare contro la deportazione degli ebrei dalla Francia) – e un’insegnante, Marthe Dortel-Claudot, che viveva in Francia con il marito e i figli. La visione di riconciliazione che queste due persone avevano avuto fu una forte ispirazione per la nascita del movimento e un aspetto fondamentale della nostra spiritualità. Alla fine della guerra che aveva mietuto milioni di vittime e proclamato la presunta superiorità della razza ariana, la gente avvertiva un profondo desiderio di pace e rispondeva con calore alle iniziative popolari su questo tema. Pax Christi crebbe rapidamente e, in poco tempo, si guadagnò l’appoggio dei vescovi tedeschi e francesi. A Roma, Pio XII conferì alle missioni di Pax Christi il riconoscimento ufficiale di movimento cattolico per la pace che più tardi farà dell’enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII il manifesto ideale del proprio mandato. In Italia Pax Christi nacque nel 1954, per iniziativa dell’allora mons. Giovanni Battista Montini. I nostri ideali? Verità, giustizia, libertà, amore, non violenza, difesa dei diritti umani, scelta del disarmo, riconciliazione e preghiera.

Presente nella maggior parte dei Paesi europei e a livello internazionale, qual è la diffusione di Pax Christi in Italia?
Il nostro movimento si avvale del contributo di 30 gruppi locali, diffusi capillarmente nella penisola e da noi chiamati punti pace. La segreteria nazionale ha la sua sede a Firenze, dove vengono proposte svariate attività di formazione con seminari, stages e itinerari volti a fare luce sulle dinamiche del conflitto mediorientale. In realtà non ci siamo mai preoccupati di contarci, fedeli a quanto sosteneva una delle figure centrali del nostro movimento, don Tonino Bello: «Non abbiamo bisogno di cercare segni di potere… Dio si arrabbiò molto quando Saul volle contare il numero dei suoi soldati».

Nello specifico, come si concretizza l’impegno di Pax Christi in Terra Santa?
Il nostro essere fondati sulla pace non poteva che avere legami profondi con la Terra nella quale Cristo stesso, passando attraverso il calice amaro della sofferenza e immolandosi a vittima dell’uomo per l’uomo, ha dato il primo esempio di cosa si debba intendere per non violenza.
Pax Christi International, durante l’ultimo Consiglio internazionale (New York, maggio 2004) ha approvato il lancio di una campagna denominata Ponti e non muri per promuovere la pace in Israele-Palestina e contro la costruzione del muro. Tutte le sezioni nazionali sono state invitate ad aderire e a promuovere sul proprio territorio questa campagna. Non solo. Il 9 novembre 2004 – in coincidenza con il quindicesimo anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino – Pax Christi ha lanciato la campagna Ponti e non muri che quest’anno, oltre a continuare il lavoro di sensibilizzazione e di informazione, vuole contribuire a rilanciare l’apporto prezioso dell’Onu, attraverso la diffusione del lavoro fatto sul campo dall’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari con sede a Gerusalemme, che documenta, producendo mappe circostanziate, l’evoluzione della situazione sul campo e le violazioni del diritto internazionale compiute da Israele. È proprio dai documenti dell’Ocha che emergono chiaramente visibili i nodi centrali dell’occupazione: furto della terra, costruzione del muro di separazione, chiusure dei territori e delle vie di comunicazione e scambio, ampliamento delle colonie israeliane, militarizzazione di ogni spazio.

Quali azioni avete intrapreso?
Abbiamo lanciato l’iniziativa Appesi alla speranza che si propone di diffondere nelle parrocchie, nelle scuole, nelle università, negli uffici pubblici e ovunque la cosiddetta Mappa dell’Ocha che indica il tracciato illegale del muro costruito in Palestina e illustra tutte le modalità attraverso le quali l’esercito occupante impedisce la mobilità ai cittadini palestinesi sul loro stesso suolo (barriere elettroniche, cancellate, checkpoint, chiusure, tunnel, bulldozer, torrette di controllo, mucchi di terra e blocchi di cemento). Ma accanto alla missione informativa-formativa, questo movimento si fonda e si riconosce su due altri importanti pilastri: la solidarietà e la spiritualità.

Come vi state muovendo su quest’ultimo versante?
Il nostro compito non si ferma alla propaganda. Sono numerosi i gruppi di volontari che si recano nelle zone di conflitto per offrire un sostegno a chi è nel disagio. Per non dire della promozione di campi mirati per la raccolta delle olive e della proposta di pellegrinaggi alternativi in Terra Santa che favoriscano non solo la visita alle «pietre», ma, soprattutto, l’incontro con chi, in quei luoghi, ogni giorno, si batte per la propria dignità. La spiritualità resta centrale. Stiamo lavorando affinché si ritorni alle origini feconde del nostro movimento, promuovendo catene di preghiera per la riconciliazione capaci di unire, pur nella distanza, ma nella sincronia, comunità cristiane, palestinesi ed ebraiche.

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