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Gli insediamenti non aumentano, ma s’affollano

01/03/2007  |  Milano
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Nel corso del 2006 non sono stati istituiti nuovi avamposti israeliani «illegali» in Cisgiordania. Lo dice un rapporto dell'organizzazione Peace Now secondo il quale, però, vi sono stati ben 251 mutamenti sostanziali di vario tipo negli insediamenti e avamposti già esistenti. Se il numero delle «colonie» rimane stabile, è invece in crescita la loro popolazione, che nel 2006 ha fatto registrare un incremento pari al 5 per cento. Intanto il governo di Israele non dà seguito agli impegni presi di far sgombrare alcuni avamposti. E Peace Now chiede l'intervento della Corte suprema.


Nonostante che nel 2006 non siano stati istituiti nuovi avamposti israeliani «illegali» in Cisgiordania, si sono registrati ben 251 cambiamenti sostanziali di vario tipo in quelli già esistenti. Ad esempio la realizzazione di nuove strade, l’aggiunta di decine di caravan e la costruzione di nuovi edifici permanenti.

Se il numero degli insediamenti israeliani nella regione è stabile, è invece in netta crescita la quantità dei loro abitanti. Sono alcuni tra i dati più significativi dell’ultimo rapporto stilato da Peace Now, uno dei movimenti pacifisti «storici» di Israele, che invoca la nascita di uno Stato palestinese sui Territori occupati.

Il documento evidenzia che il numero totale degli insediamenti in Cisgiordania è fermo a 121, ma nel 2006 il tasso di incremento della loro popolazione è stato pari al 5 per cento, tre volte superiore alla media israeliana. In totale sono 268 mila attualmente coloro che risiedono negli insediamenti, i più popolosi dei quali sono quelli di Modi’in Illit e di Beitar Illit.

Altro dato è quello relativo agli appalti di costruzione lanciati dal governo israeliano lo scorso anno. Il loro numero è più basso di quello del 2005 (952 contro 1.184), e va notato come tutti gli appalti siano stati istituiti dopo le elezioni del marzo scorso. Attualmente, secondo i calcoli di Peace Now, sono in costruzione negli insediamenti oltre tremila unità abitative.

Nel 2006 sono proseguiti peraltro anche importanti interventi infrastrutturali per collegare alcuni insediamenti della Cisgiordania a Gerusalemme, e sono inoltre state istituite sei aree speciali di sicurezza attorno ad altrettante località (Ateret, Nahaliel, Shavei Shomron, Avnei Hefetz, Karmei Tzur, Enav). Altre due di queste aree di sicurezza sono previste per il 2007 (a Susiya e Ro’i).

Tra i dati più significativi del rapporto ci sono quelli che riguardano i veri e propri avamposti «illegali» – abitati da oltre duemila persone – che in diverse occasioni l’ex premier israeliano Ariel Sharon promise di smantellare. In ventidue di essi (in particolare in quelli situati nell’area di Binyamin) si è registrato nel 2006 l’inizio di costruzioni permanenti. Mentre in altri sette sono state realizzate nuove strade.

Peace Now fa peraltro notare come il governo israeliano abbia fallito nel suo intento di far evacuare sei specifici avamposti  e cioè quelli situati a Mitzpe Lachish, T Junction, Givat Asaf, Ramat Gilad, Ma’ale Rehav’am, Mitzpe Yitzhar. Non solo l’evacuazione non è stata portata a termine, ma cinque di quei sei insediamenti illegali si sono addirittura ingranditi, con nuove costruzioni o con l’allargamento delle abitazioni già esistenti. Secondo Peace Now, i cambiamenti avviati nel 2006 negli avamposti illegali si registrano, nell’80 per cento dei casi, in località situate a est della barriera di separazione in Cisgiordania.

Attualmente, ci sono due petizioni di Peace Now contro gli avamposti pendenti davanti alla Corte suprema israeliana. La prima chiede la demolizione delle strutture create nelle località di Haresha e Hayovel, per le quali il governo si era formalmente impegnato, nel maggio del 2006, a presentare un piano di evacuazione completo. La Corte riesaminerà la questione a partire dal prossimo 7 marzo.

L’altra petizione è relativa alla richiesta di smantellamento dell’avamposto di Migron. In questo caso lo Stato israeliano si è già detto pronto a portarne a termine lo smembramento, ma ha ribadito altresì che la decisione sulla data di inizio delle operazioni spetta comunque soltanto al primo ministro.

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