Se il problema dell’unità ha un senso e un peso per tutti i cristiani di tutti i luoghi, esso riveste un’urgenza particolare in Terra Santa. E ciò per molteplici motivi.
Prima di tutto in riferimento a Gesù: è nella Palestina che Gesù ha rivolto il suo impellente messaggio di unità, parlando della necessità di un solo gregge attorno a lui, unico pastore (Gv 10,16), a Gerusalemme è stato profetizzato che Gesù doveva morire per riunire tutti i figli di Dio dispersi (Gv 11,52), e soprattutto nel Cenacolo Gesù ha lasciato come testamento l’estremo messaggio e la preghiera per l’unità (Gv 17,20-23).
Ma è anche l’attuale situazione di Terra Santa che rende urgente il problema e il messaggio dell’unità. Proprio la terra dove è stato fatto agli uomini il dono dell’unità è diventata uno dei più accesi focolai di divisione e di discordia sia per la Palestina stessa che per tutto il Medio Oriente. In questa terra, un serio cammino verso l’unità dei cristiani potrebbe costituire l’avvio o almeno un segnale per una rappacificazione tra i credenti delle tre grandi religioni monoteiste.
Altro motivo che rende urgente la soluzione del problema dell’unità in Terra Santa è che, si voglia o no, questa zona geografica è al centro dell’interesse di tutto il mondo e tutti guardano a questi luoghi: chi per comprendere che cos’è il cristianesimo, chi per alimentare o giustificare una speranza di riconciliazione o di pace.
Anche il brano evangelico scelto come tema specifico per la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 2007 assume un significato particolare se rapportato ai luoghi nei quali ha operato Gesù, luoghi che per l’evangelista assumono un senso chiaramente simbolico. Infatti, anche la geografia serve a Marco per fare teologia.
Il brano proposto alla riflessione è tratto dal Vangelo di Marco, capitolo 7, versetti 31-37 e tratta della guarigione di un sordomuto, in una precisa zona geografica.
1. La geografia simbolica: la Galilea, luogo di Gesù e della comunità cristiana
Marco, generalmente considerato il primo evangelista in ordine di tempo, si serve della geografia per trasmettere il suo messaggio teologico e pastorale. Egli fa parlare i luoghi, legando ad essi determinati episodi e determinate persone. Tutta la Palestina si offre come sfondo dell’opera di Gesù, ma con ruoli ben distinti per le sue varie regioni. Praticamente, i primi 9 capitoli del Vangelo ci presentano Gesù in Galilea e dintorni, per passare mediante una transizione nel capitolo 10, all’attività di Gesù a Gerusalemme nei capitoli 11-16. Naturalmente si tratta di uno schema artificiale, e non di una ricomposizione storica, perché ci sono indizi di una presenza di Gesù a Gerusalemme anche nella prima epoca (cfr Mc 10, 46s; 11, 2s; 14, 3ss; 14, 49; 15, 43).
Marco sottolinea un contrasto fra la Galilea, luogo dell’attività di Gesù, e Gerusalemme, luogo della passione e, prima ancora, luogo di provenienza degli avversari di Gesù (Mc 3, 22; 7,1). Il Vangelo riproduce probabilmente la situazione della comunità di Marco, concentrata nella regione di Galilea. Si comprende, così, perché in Galilea è concentrata l’attività di Gesù e perché in Galilea Gesù fissa l’appuntamento con i suoi dopo la Risurrezione (cfr Mc 16, 7): lì nasce la nuova comunità cristiana.
Ma la Galilea al tempo di Marco non è più quella del tempo di Gesù: è già diventata la «Galilea delle nazioni» e raggruppa i territori a est e a ovest del lago di Galilea ed è compresa tra la Fenicia a Nord-Est e la Decapoli a Sud-Est.
È in questo contesto che si muove Gesù, però in forma molto dinamica, spostandosi dalla Galilea al territorio pagano della Decapoli; si spiega così il frequente motivo del mare e degli spostamenti in barca; in tutto il movimento il «mare di Galilea» svolge una funzione unificante di tutta l’attività di Gesù.
Questo spostamento di Gesù dalla Galilea al territorio pagano diventa il modello per la missione della comunità di Marco, chiamata ad annunciare il Vangelo in territorio pagano.
Possiamo ora comprendere il senso della sottolineatura di Marco nel primo versetto del brano che viene proposto alla nostra riflessione: «E di nuovo, uscito dal territorio di Tiro, venne attraverso Sidone verso il mare della Galilea, in mezzo al territorio della Decapoli» (Mc 7,31). L’attività benefica di Gesù non è limitata entro i confini della sua terra: immediatamente prima del nostro episodio Gesù aveva sanato a Tiro la figlia della donna cananea (Mc 7,24-30) e subito dopo, senza effettuare spostamenti, opera la seconda moltiplicazione dei pani. È un messaggio sufficiente per spingere la Chiesa ad uscire dai propri confini di origine.
2. Il contesto dell’episodio: la sezione dei pani e l’incomprensione dei discepoli
Il messaggio del brano diventa ancora più chiaro se collocato all’interno del suo contesto immediato. Alcuni elementi di carattere letterario ci consigliano di considerare la sezione che va da Mc 6,6b a 8,26 come la terza unità della prima parte del Vangelo. Tema fondamentale della sezione è Gesù che invia i discepoli in missione ed egli stesso che apre ai pagani.
All’interno di questa sezione si distinguono due cicli paralleli che compongono quella che è definita la «sezione dei pani». Nel primo ciclo abbiamo la prima moltiplicazione dei pani (Mc 6,30-44), la traversata del mare, la disputa con i farisei, la donna cananea e il nostro episodio della guarigione del sordomuto (Mc 6,45-7,37); nel secondo ciclo abbiamo la seconda moltiplicazione dei pani (Mc 8,1-9), la traversata del mare e la disputa con i farisei (Mc 8,9b-13). Non è difficile vedere il raccordo fra questi due cicli: Gesù dona il suo pane prima nella sua terra e poi in terra pagana.
Ma anche l’episodio della guarigione del sordomuto, che conclude il primo ciclo della sezione, ha il suo corrispondente nella guarigione del cieco di Betsaida (Mc 8,22,26), il quale, a sua volta, prepara simbolicamente la confessione messianica di Pietro (8,29), che fa da spartiacque fra le due parti del Vangelo di Marco.
C’è un altro motivo, in questa sezione, che illumina il senso della duplice guarigione di Gesù, quella del sordomuto e quella del cieco: è il motivo del cuore indurito e dell’incomprensione dei discepoli (Mc 8,14-21). È un tema molto diffuso nel Vangelo di Marco, e che ritorna con insistenza anche nella nostra sezione. Dopo la visione di Gesù che cammina sulle acque, i discepoli «erano ancor più grandemente stupefatti in se stessi, perché non avevano compreso il fatto dei pani, ma il loro cuore era indurito» (Mc 6, 51s). Anche dopo la seconda moltiplicazione dei pani il cuore dei discepoli è indurito ed essi non comprendono, tanto da indurre Gesù a rivogersi a loro: «Perché discutete poiché non avete dei pani? Non capite ancora né comprendete? Avete il vostro cuore indurito? … Non comprendete ancora?» (Mc 8, 17.21).
Ciò di cui veramente hanno bisogno i discepoli è la trasformazione del loro cuore indurito, perché essi possano comprendere. Hanno bisogno di vedere, di ascoltare e di proclamare la parola e l’opera di Gesù. Una volta trasformato il cuore indurito, essi potranno vedere, ascoltare e proclamare, come i due miracolati. È questo il senso profondo delle due guarigioni.
3. Il comportamento di Gesù e le reazioni dei presenti
Marco trasmette il suo messaggio anche attraverso la sottolineatura di alcuni gesti di Gesù. Gesù «prende in disparte» il sordomuto (o balbuziente; al v. 35 si dice che parlava «correttamente», il che induce a pensare che prima parlasse non correttamente): nella sua opera risanatrice egli rifiuta sempre la pubblicizzazione. A ciò corrisponde il divieto finale di promulgare la notizia del miracolo, divieto inefficace, perché «quanto più lo comandava loro, tanto più essi lo proclamavano» (v. 36): la dignità e la potenza di Gesù sono presenti ed evidenti anche nel nascondimento della vicenda umana di Gesù. Emerge qui quello che è stato definito il «segreto messianico». Solo sotto la croce e dopo la croce Gesù può essere riconosciuto per quello che egli veramente è: il Figlio di Dio.
Gesù tocca con le dita, considerate portatrici di energia, e mette a contatto con la saliva che esce dalla sua bocca: sono tutti gesti che sottolineano il contatto personale tra lui e il malato. Non è una forza fisica o magica quella che egli trasmette, ma una forza che viene dal cielo. Infatti, pronunciando la parola risanatrice: «Effatà», cioè, «Apriti», egli guarda e sospira verso il cielo: è una preghiera e un’invocazione per vincere le forze del male. Il fatto che la lingua «si sciolse» fa pensare che fosse legata da una forza maligna, e che quindi Marco veda la guarigione come la liberazione dal principio del male, cioè satana.
Al livello simbolico è interessante notare la successione dei due momenti di guarigione: prima si aprono gli orecchi e quindi si scioglie la lingua: il miracolato è in grado di ascoltare e di parlare, come il discepolo si apre prima all’ascolto e poi alla confessione e proclamazione. Tutto ciò è presentato come compimento della salvezza già promessa da Isaia, come appare dal testo che sta allo sfondo della narrazione: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si stureranno le orecchie dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua dei muti» (Is 35,5s).
L’esclamazione della folla: «Ha fatto bene ogni cosa» riporta il miracolo di Gesù all’opera della creazione di Dio che, al termine della creazione, «vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono» (Gn 1,31): anche con questo miracolo Gesù restituisce una creatura alla bellezza e bontà originaria della creazione.
4. Il significato ecumenico del brano
L’episodio del sordomuto risanato insegna a tutti i cristiani e a tutte le Chiese la strada della guarigione dalla grave malattia delle divisioni. Tutti abbiamo bisogno di lasciarci toccare fisicamente, cioè, fare esperienza diretta di un contatto intimo con Gesù. Solo l’esperienza di una vita in unione con Gesù può operare quella trasformazione interiore che toglie l’indurimento del cuore e porta ad ascoltare la voce genuina del Vangelo prima delle numerose interpretazioni accomodanti e a proclamare di fronte al mondo le meraviglie di Dio prima delle glorie delle nostre Chiese.
Il senso evangelico ed ecumenico del brano di Marco è che, quando si lascia spazio all’opera di Gesù, chi era sordo può ascoltare e chi era muto può parlare, ma significa anche che chi prima era tenuto muto può e deve essere ascoltato e chi finora era sordo può e deve ascoltare. Per ottenere questo tipo di ascolto e questo tipo di parola abbiamo tutti bisogno di essere «miracolati»; per essere miracolati dobbiamo lasciarci toccare da Gesù.