Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Mariam, luce d’Oriente

Sara Fornari
15 gennaio 2007
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Mariam, luce d’Oriente
Suor Mariam Baouardy, la «piccola araba».

La mistica che fondò il carmelo di Betlemme, beatificata da Giovanni Paolo II nel 1983, continua ad essere un esempio di santià per i cristiani del Medio Oriente.


Una stella rivelatrice della potenza di Dio e annunziatrice di pace e carità. Questo il messaggio, forse non molto conosciuto seppure di grandissima attualità, racchiuso nella vita della «piccola araba», la beata Maria di Gesù Crocifisso. Di lei si fa memoria il 26 agosto, data del suo dies natalis al cielo. Nonostante fosse analfabeta, Mariam Baouardy – che nacque nella Palestina sotto il dominio turco – viaggiò per piste misteriose spinta dall’amore di Cristo, in Francia e fin nella lontana India per fondare un convento missionario. Morì nella città di Davide, Betlemme, nel Carmelo da lei sognato e fondato secondo il segno ricevuto dal Cielo.

La sua vita travagliata è in primo luogo un messaggio di consolazione e incoraggiamento per tutti i cristiani che, oggi, vivono e soffrono in Medio Oriente. Fin dalla sua nascita, Mariam è apparsa come un dono della grazia per i suoi genitori, due arabi cristiani dell’Alta Galilea che, dopo aver visto morire dodici figli piccoli, chiesero alla Vergine Maria una figlia, facendo un pellegrinaggio a piedi a Betlemme. Promisero che si sarebbe chiamata come la Madonna, che esaudì questa preghiera nell’Epifania di 160 anni fa: Mariam nacque a Ibillin, sulla strada tra Nazareth e San Giovanni d’Acri, in questa famiglia di origine libanese e di rito melchita (greco-cattolico).

Il padre in punto di morte la affidò a san Giuseppe: «Ecco tua figlia. Maria è sua madre, proteggila tu e sii suo padre». Lei aveva appena tre anni; ma la mamma non resistette alla separazione: morì pochi giorni dopo. Così la bambina venne adottata da uno zio e si trasferì in Egitto. A 12 anni, dopo aver rifiutato il matrimonio ormai fissato, si consacrò alla verginità. Perseguitata dallo zio che non accettava questa scelta, fu sottoposta a lavori pesanti. In quella stessa epoca, Mariam fece anche esperienza della morte e vide il paradiso: un servo musulmano le aveva tagliato la gola con la scimitarra dopo che si era dichiarata «figlia della Chiesa cattolica», rifiutando di convertirsi all’islam. Il corpo morto, abbandonato in un lago di sangue, fu raccolto in una strada buia da una signora vestita d’azzurro. Anni più tardi la beata rivelerà di essere rimasta per un tempo indefinito in una grotta: la signora che l’aveva risuscitata era la Vergine Maria, che le rivelò pure le tappe fondamentali della sua vita. A provare l’accaduto una cicatrice sul collo di 10 centimetri, e la voce sempre rauca. Dopo il miracolo, senza sapere come, si ritrovava al monastero di Santa Caterina, dove un frate francescano le trovò un posto come domestica in una famiglia. E passò di casa in casa, preferendo aiutare le famiglie ridotte in miseria, fino al punto di chiedere l’elemosina per loro.

La Madonna in persona le aveva anche preannunciato che sarebbe morta a Betlemme come figlia di Santa Teresa, dopo essere stata figlia di san Giuseppe. Mariam, infatti, dapprima fu novizia presso la congregazione (di vita attiva) di San Giuseppe dell’Apparizione, alla periferia di Marsiglia. Approdò alla vita carmelitana all’età di 21 anni, dopo essere stata rifiutata dal convento di Marsiglia, ma di anni ne dimostrava 12. Per questo la chiameranno «la piccola araba», mentre lei preferirà definirsi «il piccolo nulla».

Al Carmelo di Pau, vicino a Lourdes, entrò come suora conversa (dedita ai lavori manuali), col nome di Maria di Gesù Crocifisso. Le diedero un posto nel coro (formato dalle suore più istruite), ma per umiltà e per le difficoltà col latino chiese di riprendere il ruolo più basso. Si possono poi scorgere dei fili impercettibili che congiungono l’esistenza della «piccola araba» a quella di altri santi, vissuti nella Francia scristianizzata dalla rivoluzione. Nel corso della sua vita spirituale, la giovane Mariam sarà appoggiata dai padri della congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Betharram, paese nei Pirenei, a poca distanza da Lourdes. Il loro fondatore, san Michel Garicoïts (1797-1863), fu un riferimento importantissimo per santa Bernadette Soubirous: amico di famiglia e suo confessore, per primo riconobbe l’autenticità delle apparizioni.

Perfettamente contemporanee, Bernadette (1844-1879) e Mariam (1846-1878), ebbero in comune povertà e ignoranza, la semplicità e l’amore mariano. La beata araba, dal canto suo, visiterà nel 1875 il santuario di Lourdes e vi sarà acclamata dalla gente. Aiuterà anche la congregazione missionaria di san Michel Garicoïts ad ottenere l’approvazione da parte della Santa Sede.

La vita di Mariam ha coinciso anche con il lungo pontificato di Pio IX (1846-1878), per il quale nutrì un vero affetto filiale. «Mio padre», lo chiamava. Gli fece pervenire dei messaggi per il bene della Chiesa e, grazie al suo dono di profezia, lo mise  in guardia da pericoli minaccianti la sua persona (la caserma accanto al Vaticano era minata).

Mariam fu un’estatica, fin dall’infanzia: durante la vita religiosa va in estasi spesso, e proprio in quei momenti improvvisa i suoi cantici, parole e musica. Ma «il piccolo nulla» contrastava in ogni modo tali rapimenti e nel suo candore li chiamava «sonno». Eppure, interrogata in proposito, li descriveva così alla maestra delle novizie: «Mi sento il cuore aperto:  c’è come una piaga. E quando certe idee e impressioni di Dio mi raggiungono è come se mi si toccasse la piaga del cuore, allora cado in debolezza e mi perdo». Durante la sua professione in India, potrà pronunciare la formula solo dopo essere stata risvegliata da una parola della priora. Una mattina, sorpresa in estasi dopo le preghiere, balza fuori dalla sua cella dicendo: «Tutto il mondo dorme e a Dio, così pieno di bontà, così grande, così degno di ogni lode, nessuno ci pensa! Vedi, lo lodano la natura, il cielo, le stelle, gli alberi, le piante, tutto lo loda! Ma l’uomo, che conosce tutti i suoi benefici e dovrebbe lodarlo, dorme. Su, andiamo, andiamo a svegliare l’universo!». A dimostrare l’autenticità di questi rapimenti, comunque, ci sono gli insegnamenti dottrinali da lei comunicati durante le estasi: quando le venivano fatte domande sulla vita comunitaria, la giovane monaca rispondeva con osservazioni pratiche e buon senso.

In convento aveva appreso a parlare un francese elementare e storpiato, oltre alla sua lingua nativa, un arabo popolare; ma grazie all’opera dello Spirito Santo, ha improvvisato – in un francese assai suggestivo – inni di vera poesia. Tanto da suscitare l’ammirazione dell’ebreo convertito francese René Schwob, che l’avrebbe voluta patrona degli intellettuali, anche allo scopo di liberarli dalla loro superbia.

Infatti la vita della beata, di ampio respiro missionario, no nostante gli straordinari carismi (profezia, trasverberazione del cuore, stigmate, levitazioni, bilocazione), si distinse innanzitutto per le virtù teologali e morali esercitate in grado eroico, mostrate specialmente nelle tribolazioni, nelle prove accettate con amore. Lì è brillata la fede e l’obbedienza «fino al miracolo».

Secondo la sintesi di padre Amédée Brunot (La piccola araba. Maria di Gesù Crocifisso Mirjam Baouardy, Ocd 2004) a marcare la sua santità furono «tre consegne molto importanti: la coscienza della sua miseria, l’ardente desiderio della volontà divina, il primato dell’amore». Scriveva: «A chi assomiglio io, Signore? Agli uccelletti implumi nel loro nido. Se il padre e la madre non portano loro il cibo muoiono di fame. Così è l’anima mia, senza di te, o Signore: non ha sostegno, non può vivere…».

Come ha detto Giovanni Paolo II, Mariam ha dato tutto per amore. «Le prove più dolorose –  affermò il Santo Padre nell’omelia per la beatificazione il 13 novembre 1983 – non lo hanno spento, ma al contrario lo hanno purificato e irrobustito. (…) Mariam è stata ed è ancora oggi una stella fulgida in questa terra martoriata: orfana, pellegrina, e a servizio dei poveri, fin dall’adolescenza».

Una luce d’Oriente, che indica alle culture la strada della carità evangelica.

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