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Le ferite del Sinai

31/01/2007  |  Milano
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Le ferite del Sinai
Beduini solcano gli aridi sentieri della penisola del Sinai (Egitto).

Il governo egiziano non sarà in grado di sconfiggere i gruppi terroristici che gravitano nella penisola del Sinai a meno che non vengano adottate misure politiche e riforme socio-economiche in grado di risolvere le problematiche specifiche della regione. Lo denuncia l'International Crisis Group (Icg), organizzazione non governativa specializzata in analisi di situazioni di crisi. Analizzando la situazione, l'organismo censisce i cinque attacchi terroristici avvenuti tra l'ottobre del 2004 e l'aprile del 2006 e costati la vita a decine di persone. La reazione del governo egiziano all'insorgere dell'estremismo nella penisola è rimasta «essenzialmente confinata alla sfera della sicurezza». Ma per isolare i violenti bisogna trovare risposte politiche allo scontento della popolazione.


Il governo egiziano non sarà in grado di sconfiggere i gruppi terroristici che gravitano nella penisola del Sinai a meno che non vengano adottate misure politiche e riforme socio-economiche in grado di risolvere le problematiche specifiche della regione.

La denuncia sull’inefficienza degli interventi del Cairo nella penisola nord-orientale del Paese, zona di congiunzione tra l’Africa e il Medio Oriente, è contenuta nell’ultimo rapporto pubblicato dall’International Crisis Group (Icg), organizzazione non governativa specializzata in analisi di situazioni di crisi.

Il documento prende spunto dall’ondata di azioni terroristiche che hanno sconvolto il Sinai negli ultimi anni. Ben cinque gli attacchi tra l’ottobre del 2004 e l’aprile del 2006, costati la vita a decine di persone. Secondo l’Icg, la reazione del governo egiziano all’insorgere dell’estremismo nella penisola è rimasta «essenzialmente confinata alla sfera della sicurezza».

Sono stati sì in parte individuati i responsabili delle stragi, ma nella regione poco o nulla è stato fatto per risolvere «le cause più profonde del discontento», lasciando così attecchire quell’humus nel quale spesso crescono le nuove generazioni di estremisti. L’emergere del radicalismo è «sintomatico delle tensioni e della relazione problematica tra il Sinai e lo Stato-nazione egiziano», osserva Hugh Roberts, responsabile dell’Icg per il Nord Africa.

Il Sinai, occupato militarmente dal 1967 al 1982 dall’esercito israeliano, è sempre stato una sorta di area a sé rispetto al resto dell’Egitto. La stessa popolazione locale (300 mila abitanti nel nord e 60 mila nel sud) poco si rispecchia nei valori e nella cultura egiziana. Una grossa minoranza è composta da persone di origine palestinese, consapevoli della loro identità e dei loro legami con le popolazioni di Gaza e della Cisgiordania. La maggioranza, i cosiddetti «beduini», ha origini arabiche, ed è legata a tribù giordane, palestinesi e israeliane. Anche per questo, sottolinea il rapporto, la situazione geo-politica del Sinai assume un’importanza strategica anche nel contesto del conflitto israelo-palestinese.

Secondo l’Icg, il governo del Cairo ha mancato di promuovere programmi di integrazione che rispondessero ai bisogni della popolazione locale. «Viceversa, ha promosso la formazione di insediamenti di migranti provenienti dalla Valle del Nilo, favoriti sistematicamente, e non ha incoraggiato la partecipazione dei residenti del Sinai alla vita politica nazionale».

Lo stesso sviluppo delle attività turistiche nel Sud della regione ha portato «scarsi benefici» alla popolazione locale (spesso anzi privata anche dei diritti sulle terre), provocando l’insorgere di un «profondo risentimento».

Sono dunque necessarie significative riforme politiche e progetti culturali, in collaborazione con i rappresentanti locali, che modifichino «la strategia profondamente discriminatoria» attualmente perseguita dal governo centrale. A questo proposito, l’Icg fornisce all’esecutivo una serie di raccomandazioni, come la formulazione di un piano economico e sociale complessivo per lo sviluppo del Sinai, la promozione dell’associazionismo locale, l’implementazione di un fondo tramite il quale preservare le tradizioni e la lingua beduina, riconoscendole come patrimonio della cultura nazionale egiziana.

Ai partner internazionali del Cairo, inoltre, il rapporto raccomanda di «riconoscere il pericolo che la questione del Sinai, nel caso restasse irrisolta, potrebbe porre alla stabilità dell’Egitto». E li esorta, infine, ad incoraggiare ed assistere le autorità egiziane in un nuovo programma di sviluppo per la regione.

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