La scorsa notte il governo israeliano ha trasferito alla presidenza palestinese 100 milioni di dollari, pari a un sesto dei fondi fiscali «congelati» da Israele un anno fa, all'indomani della vittoria di Hamas alle elezioni legislative palestinesi.Lo sblocco di questa prima tranche di denaro è accompagnato da un'intensa attività diplomatica, che culminerà con un incontro a tre, in febbraio, tra il premier israeliano Ehud Olmert, il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, e il segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice.
Un segno di apertura nei confronti di Abu Mazen, a poche settimane dall’importante vertice trilaterale che potrebbe segnare un rilancio del processo di pace. La volontà di rafforzare la posizione del presidente dell’Autorità nazionale palestinese nei confronti del governo di Hamas, boicottato anche dalla comunità internazionale che ha interrotto il flusso degli aiuti. Ma anche, e soprattutto, una boccata d’ossigeno vitale per decine di migliaia di palestinesi, che si dibattono da mesi in una grave crisi finanziaria. Basti ricordare il mancato pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici, che ha provocato per settimane scioperi e proteste di piazza.
I cento milioni di dollari che il governo israeliano ha trasferito ieri notte alla presidenza palestinese rappresentano una grande speranza per il futuro del Medio oriente. Perché se da una parte è vero che la somma in questione costituisce solo un sesto dei circa 600 milioni di dollari di fondi fiscali «congelati» da Israele un anno fa – all’indomani della vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi -, va sottolineato che lo sblocco di questa prima tranche è accompagnato da un’intensa attività diplomatica, che culminerà con l’incontro a tre di febbraio tra il premier israeliano Ehud Olmert, il presidente dell’Anp, Abu Mazen, e il segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice.
Il trasferimento dei fondi era stato promesso da Olmert ad Abu Mazen nel corso di un incontro a sorpresa avvenuto il 23 dicembre scorso a Gerusalemme. Secondo gli accordi raggiunti, la somma non sarà gestita dal ministero delle Finanze, che fa capo ad Hamas, ma dalla presidenza dell’Anp. Innanzitutto per alleviare la crisi umanitaria nei Territori e, in seconda istanza, per rafforzare le forze di sicurezza dello stesso Abu Mazen.
I fondi che il governo israeliano trattiene nelle sue casse sono il frutto sia delle tasse pagate dai tanti palestinesi che lavorano in Israele che dei dazi doganali e fiscali imposti sulle merci che transitano per Israele prima di giungere nei Territori palestinesi. Una componente di entrate importante, che si aggira tra i cinquanta e i sessanta milioni di dollari al mese.
Dal punto di vista diplomatico va registrato il rinnovato impegno del cosiddetto Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea, Nazioni Unite e Russia) nel processo di pace. Molto attivi sia Condoleeza Rice sia l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Javier Solana. Quest’ultimo terrà diversi incontri nel fine settimana con le autorità israeliane e con Abu Mazen.
«Due anni possono bastare per raggiungere un accordo – ha dichiarato ieri il vice-ministro israeliano della Difesa, il laburista Ephraim Sneh – Sono sicuro che nel governo di Israele c’è una maggioranza favorevole a un’intesa».
Va peraltro segnalata, tra gli scogli attuali, anche la difficile fase che sta vivendo il governo Olmert. I sondaggi indicano che il 50 per cento degli israeliani vorrebbe le sue dimissioni e il 60 per cento è favorevole ad elezioni anticipate. Secondo gli analisti, con la prossima pubblicazione del rapporto della commissione d’inchiesta sulla guerra in Libano, l’esecutivo in carica rischia una pesante destabilizzazione, che avrebbe effetti deleteri anche sull’intero processo di pace.