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Davide apprende da uno straniero della morte del figlio, divenuto suo nemico. Eppure il suo cuore di padre è straziato dal dolore. Nessun potere può valere la perdita degli affetti.

Dolore e purificazione

Paolo Curtaz
28 gennaio 2007
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Dolore e purificazione
Re Davide in una miniatura su manoscritto armeno del 1280.

Abbiamo lasciato Davide, lo scorso mese, che abbandona Gerusalemme pur di non combattere contro suo figlio Assalonne che, fagocitato da alcuni della famiglia dell’ex-re Saul, ha compiuto un colpo di Stato. Rifugiatosi in una città sulle rive del Giordano, Davide aspetta con ansia notizie dal campo di battaglia. Assalonne è morto durante gli scontri e nessuno ha il coraggio di portare la notizia al re. Con sottile psicologia il testo descrive l’ansia del padre che scruta l’orizzonte, tentando di interpretare la camminata del messo che sta giungendo.

Davide scruta l’orizzonte come farà un altro Padre con esiti meno drammatici (Lc 15). Achimaaz, inviato dal generale Ioab, non ha il coraggio di dire la verità: sarà uno straniero, un etiope, che non conosce la tempra di Davide, a dargli la «buona» notizia. La struggente reazione di Davide ci lascia attoniti e silenziosi: invece di gioire per il potere riconquistato, Davide è straziato dal dolore e si rifugia in camera per piangere a dirotto, inconsolabile.

La splendida annotazione redazionale che ci racconta di come l’esercito rientrò in città in silenzio, come se avesse perso, ci trasmette la forza che questa reazione suscita nel popolo. Ioab dovrà convincere il re a riprendere in mano il suo ruolo, per amore del popolo. Davide, in questa pagina, non è più il grande condottiero, lo spavaldo campione della fede, l’audace che rubò il trono a Saul, colui che ha fatto di un popolo di nomadi la più grande potenza del Medio Oriente dell’epoca. Ora egli è solo un padre che sa che il figlio è stato ucciso.

Come per Mosè, la fine di Davide è all’insegna di una purificazione che passa attraverso i fatti della vita e che ci lascia stupiti e ammirati. Davide non fa come Erode che fa sterminare i suoi figli accusati di complotto, o come Saddam che fa uccidere i mariti delle figlie dopo essere tornati penitenti a Baghdad. Il potere, spesso, acceca chi lo vive e avvelena il giudizio. Quante liti nascono ancora oggi in contesti famigliari, quante incomprensioni e tragedie per questioni di interesse economico! Davide, con questo suo gesto, si congeda dalla nostra riflessione con alcune forti indicazioni: la vita è una progressiva spogliazione, a volte dolorosa che passa attraverso la riscoperta di una piena umanità.

Davide, anziano, vede che tutto ciò che egli ha conquistato non vale la forza degli affetti. Inoltre Davide ci insegna che nessun potere, nessuna gloria, nessun obiettivo possono riempire il bene di una relazione. In un cristianesimo che, talvolta, dimentica la propria piena umanità, il grande Davide ci richiama alla dignità immensa di essere anzitutto uomini. E uomini che sanno anche piangere.

(Il testo biblico di riferimento è il Secondo libro di Samuele, dal versetto 28 del capitolo 18 al versetto 5 del capitolo 19).

L’autore è sacerdote della diocesi di Aosta e curatore del sito Internet tiraccontolaparola.it

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