Le cronache delle ultime ore da Beirut parlano di almeno tre morti e oltre un centinaio di feriti, frutto degli scontri tra le forze dell'ordine e i manifestanti che ieri hanno aderito allo sciopero generale proclamato da Hezbollah contro il governo di Fouad Siniora. Prima che gli scontri di piazza esplodessero, a Roma abbiamo incontrato Issam Bishara, direttore regionale per Libano, Siria ed Egitto del Catholic Near East Welfare Association (Cnewa). Il quale, con un occhio rivolto alla conferenza dei Paesi donatori che s'apre domani a Parigi, ci ha detto che il Libano ha disperato bisogno d'aiuti.
(m.b.) – «Sappiamo che c’è la forte volontà da parte della comunità internazionale di sostenere il governo del Libano e fornire aiuti immediati. E ne abbiamo disperatamente bisogno. Nel 2007 il Libano è chiamato a stanziare forti somme di denaro per debiti interni ed esterni, e le casse sono praticamente vuote: senza l’aiuto dei donatori che stanno per riunirsi a Parigi, la situazione precipiterebbe».
Issam Bishara, direttore regionale per Libano, Siria ed Egitto del Catholic Near East Welfare Association (Cnewa), parla con visibile preoccupazione della situazione in Libano a margine della Roaco (Riunione opere aiuto Chiese orientali) convocata per due giorni in Vaticano per il coordinamento degli aiuti delle agenzie cattoliche.
«Dopo 51 giorni di sit-in più o meno pacifico, stiamo assistendo ad una escalation di tensione fra polizia e manifestanti che può finire fuori controllo in qualsiasi momento» dice Bishara alla vigilia della Conferenza internazionale dei donatori che s’aprirà domani a Parigi e mentre giungono notizie dei gravi scontri a Beirut fra polizia e opposizione filo-siriana.
Si sa che il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon sta seguendo personalmente i drammatici sviluppi degli scontri nel Paese dei cedri ma non ci sono margini per un intervento di interposizione delle forze Unifil dispiegate nel sud del Libano: «I soldati dell’Unifil sono sufficientemente impegnati a mantenere la pace fra Hezbollah e israeliani nel sud del Paese e restano fuori da Beirut. Nella capitale c’è l’esercito libanese per le strade ma il mio timore è che singoli incidenti possano innescare scontri molto più gravi».
Bishara fa eco agli appelli della comunità internazionale per la ripresa del dialogo politico: «Se le persone riescono a sedersi intorno a un tavolo e a discutere in maniera civile, allora si può ancora raggiungere una qualche forma di accordo. Ma se si ricorre alla violenza non si arriva da nessuna parte. Auspico che i leader politici possano tornare ad un dialogo razionale».
Issam Bishara è venuto a Roma con un rapporto dettagliato sulle distruzioni provocate nel sud del Libano dalla guerra dello scorso luglio-agosto fra Israele e i miliziani Hezbollah, costate la vita a 1.400 persone e che ha messo sulla strada quasi un milione di libanesi nella zona a forte maggioranza cristiana di Metn, Kesserwan e Jbeil: «Abbiamo circa 256 mila sfollati che attendono di poter riavere una casa, ma la priorità resta rendere nuovamente abitabile l’intera area del sud, disseminata di mine. Si calcola che sul terreno restino 1 milione di bombe inesplose e questo resta il principale ostacolo al ritorno a casa della maggior parte delle famiglie. Le infrastrutture nella valle della Bekaa sono state praticamente distrutte, con 19 ponti bombardati e collegamenti da ricostruire nell’intera regione. Il settore agricolo ha subito danni ingenti: i raccolti sono stati distrutti, sono andate perse la raccolta di olive e la produzione di olio che è vitale per quella zona. Per i contadini dell’area, che dipendono dalle campagne, significa stare almeno un anno senza salario». Senza parlare dei danni causati dai bomabradmenti a decine di piccole chiese, scuole, dispensari e ambulatori gestiti da religiosi e organizzazioni cattoliche e che attendono ora la riparazione dei danni.
«Siamo potuti intervenire già durante la guerra grazie all’aiuto immediato della Roaco e al coordinamento con la Croce Rossa internazionale – racconta Bishara – ma molto resta ancora da fare». I danni per le Chiese ammontano a più di due milioni di dollari, mentre si stima che la ricostruzione di infrastrutture per far ripartire la produzione agricola in 11 villaggi si aggiri intorno ai 500 mila dollari.