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Alcuni atti di violenza contro i cristiani di Betlemme hanno segnato il periodo che anticipa il Natale. La situazione interroga la comunità internazionale.

Tra turbamento e speranza

Giuseppe Caffulli
4 dicembre 2006
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Tra turbamento e speranza
Betlemme, piccoli allievi delle scuole cristiane in occasione della festa di Santa Caterina, il 25 novembre scorso. (foto G. Caffulli)

A Betlemme il Natale inizia un mese prima. Con la festa di santa Caterina, patrona della parrocchia latina di Betlemme (la cui festa liturgica cade il 25 novembre), la comunità cristiana locale anticipa di fatto il periodo d’avvento e s’immerge nel Mistero della nascita del Figlio di Dio.

Come ogni anno Natale è un tempo di festa e di speranza. Lo è a maggior ragione in una città che è segnata da profonde contraddizioni e da una situazione economica ormai allo sfascio. «La vita dei palestinesi si sta spegnendo piano piano – scrive Charlie Abusada, cattolico melchita -. E per capirlo basta vedere le ultime novità: i bambini che chiedono soldi qua e là, piccoli accattoni disperati nella città che più di ogni altra dovrebbe avere a cuore la dignità dell’infanzia». Sono il riflesso di una situazione sociale degradata, che è ulteriormente peggiorata con il mancato aiuto internazionale. «La gente non ha più soldi per vivere. Il governo non riesce ormai da molti mesi a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici».

A questo clima di sfiducia, si aggiungono episodi che turbano profondamente la comunità cristiana e che creano una situazione di timore e di profonda insicurezza. Uno degli ultimi fatti è accaduto all’inizio di novembre, quando uomini armati del Jihad islamico hanno fatto irruzione nell’International Centre di Be tlemme gestito dalla Chiesa luterana, dove si stava svolgendo un meeting di leader religiosi cristiani e di esponenti della società civile. Gli uomini armati hanno imposto con la forza ai presenti di sgomberare la sala. E nei mesi scorsi sono stati più d’uno gli episodi d’intolleranza e i soprusi verso i cristiani di Betlemme.

Risuonano a più riprese, spesso inascoltati, gli appelli in favore della Terra Santa e sulla necessità che i cristiani non lascino la terra che ha dato i natali a Gesù. Ma per frenare questa nuova «fuga in Egitto» dei cristiani, tutti devono fare la propria parte, risolvendo le cause che stanno alla base del conflitto e adoperandosi per disinnescare (nei fatti e senza indulgenze) la bomba del fondamentalismo. Lo Stato d’Israele e l’Autorità palestinese devono impegnarsi in un serio cammino di dialogo e di pace. Ma anche la comunità internazionale, unendosi alla voce delle Chiese, deve lavorare perché Betlemme possa continuare a diffondere nel mondo il suo messaggio di pace e non ci sia più posto in Terra Santa per la violenza e per l’odio, da qualsiasi parte esse vengano.

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