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Quando l’islam sfondò

Terrasanta.net
28 dicembre 2006
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Quando l’islam sfondò

Ciò che di più sorprendente c'è nell'islam e nella vicenda personale di Maometto, è che ai suoi tempi nessuno pareva avere bisogno di lui e della sua rivelazione. È quanto sostiene Ludwig Ammann in questo saggio in cui si chiede come mai il messaggio del Profeta abbia attecchito così profondamente da generare una religione capace di imporsi nell'ambiente circostante e ampliare esponenzialmente il numero dei suoi adepti nel giro di pochi anni.


(d.c.) – Ciò che di più sorprendente c’è nell’islam e nella vicenda personale di Maometto, è che ai suoi tempi nessuno pareva avere bisogno di lui e della sua rivelazione. È quanto sostiene Ludwig Ammann, celebre islamista e autore de La nascita dell’Islam, un saggio per certi versi provocante, visto che si chiede come mai la terza grande religione monoteista del mondo (in ordine di tempo) abbia avuto successo, ovvero per quali circostanze, per quali avvenimenti e soprattutto per la sensibilità di quali persone la rivelazione del Profeta abbia attecchito così profondamente da generare una religione capace di imporsi nell’ambiente circostante e ampliare esponenzialmente il numero dei suoi adepti nel giro di pochi anni.

La ricerca di Ammann, tuttavia, non si rivolge tanto allo specifico dei contenuti dei diversi strati compositivi che formano il Corano, quanto alle caratteristiche dei primi destinatari del messaggio del Profeta. Analizzando le comunità della Mecca (dove l’islam ha «vinto» solo con le armi) e di Medina (la prima ad accogliere favorevolmente le parole di Maometto), lo studioso rivisita le principali teorie già esistenti sugli esordi dell’islam proponendo un’originale sintesi che può aiutare il lettore ad apprezzare l’intrinseca ricchezza della tradizione religiosa araba.

Ebbene, pare che proprio i custodi di questa tradizione non avessero motivi particolari per accogliere il messaggio del Profeta: i beduini e i commercianti che battevano le vie del deserto, così come i poeti che decantavano con qualche ufficialità, ai crocicchi, le credenze più in voga non avevano nessun vantaggio nel lasciare il vecchio e composito sistema religioso per uno nuovo, tanto più radicale quanto obbligante per il singolo: si trattava – tanto per esemplificare – di buttare dalla torre tante piccole divinità utili per la vita quotidiana in favore di un unico Dio cui prestare obbedienza in ogni momento; o anche di abbandonare l’opinione che non ci fosse un aldilà per abbracciare l’idea di un giudizio finale che si sarebbe potuto risolvere facilmente nella dannazione eterna.

Più in generale, Maometto chiedeva a un popolo di disconoscere totalmente un patrimonio religioso, nel quale esso trovava inscritta la propria identità (tribale o cittadina) e la propria storia, in favore di parole pronunciate da un uomo solo, un laico, che non aveva nessun titolo agli occhi dei suoi interlocutori per distinguere ciò che è sacro da ciò che è fantasia popolare, se non la pretesa autoreferenziale di parlare a nome di un Dio, Allah, già esistente nell’immaginario collettivo, già superiore rispetto alle altre divinità, ma privo quasi totalmente di un culto proprio.

Il fatto che Maometto abbia trovato un netto rifiuto nella grassa e tranquilla Mecca e abbia invece fatto i primi proseliti a Medina, città dalla popolazione più irrequieta e composita, non induce Ammann a credere che l’islam abbia mietuto i suoi iniziali successi grazie a circostanze estrinseche (eccezion fatta per la battaglia di Badr del 624, ritenuta una sorta di segno da parte di Dio ai medinesi prodigiosamente vincitori): era la rivelazione stessa del Profeta a contenere in se stessa la forza per far compiere un salto di qualità nella religiosità degli interlocutori del suo tempo verso la ricerca di senso che accomuna la vita di tutti gli uomini.

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