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Dopo il viaggio papale i cristiani turchi si attendono più libertà

13/12/2006  |  Milano
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Dopo il viaggio papale i cristiani turchi si attendono più libertà
Istanbul, 29 novembre 2006. Il Papa e Bartolomeo I nella cattedrale greco ortodossa di San Giorgio. (foto M. Manginas)

Il viaggio in Turchia di papa Benedetto XVI è andato ormai in archivio. Ma tra chi si occupa di ecumenismo e dialogo interreligioso è ancora viva la soddisfazione per le ottime relazioni cucite dal pontefice in terra turca.Ne abbiamo parlato con padre Tecle Vetrali, francescano, direttore della rivista Studi Ecumenici e docente della Pontificia Università Antonianum. Il quale ci dice tra l'altro: «In Turchia abbiamo visto la grandezza di questo Papa. Non ha fatto proclami, ma con il suo comportamento ha tradotto il discorso di Ratisbona: comunione e condivisione con coloro che hanno un vero rapporto con Dio».


Il viaggio in Turchia di papa Benedetto XVI è andato ormai in archivio. Ma nei tessitori del dialogo interreligioso è ancora viva la soddisfazione per le ottime relazioni cucite dal pontefice in terra turca.

Di certo non la nasconde Tecle Vetrali, direttore della rivista Studi Ecumenici. Docente ordinario della Pontificia Università Antonianum, è uno degli esperti del dialogo ecumenico dell’Ordine dei Frati minori.

Padre Vetrali perchè è stato così importante questo viaggio?
Per l’attuale momento storico, caratterizzato da un rapporto spesso difficile con il mondo musulmano. In Turchia abbiamo visto la grandezza di questo Papa. Non ha fatto proclami, ma con il suo comportamento ha tradotto il discorso di Ratisbona: comunione e condivisione con coloro che hanno un vero rapporto con Dio.

Benedetto XVI è stato per lei una sorpresa?
No. È stato sempre definito giustamente un grande teologo, ma lui si distingue anche per la sua sensibilità umana e spirituale. Mi ha colpito il modo con cui è riuscito a entrare in sintonia col muftì nella Moschea Blu: solo con la forza della preghiera. Sono d’accordo con il cardinale Roger Etchegaray, è stato un gesto che per intensità emotiva ha ricordato quello di Giovanni Paolo II al Muro del Pianto di Gerusalemme.

Nell’atteggiamento del Pontefice ha ravvisato qualche somiglianza con l’esperienza di Francesco d’Assisi dal sultano?
Sì, per l’esempio che ci ha lasciato Francesco nel rapporto con i non credenti o i fedeli di altre religioni: sottomissione, rispetto innanzitutto, ma anche professione autentica della fede cristiana. Dopo Ratisbona non era affatto facile per Benedetto XVI.

Per il dialogo interreligioso la strada è ora più semplice?
Purtroppo non del tutto. Le difficoltà con i musulmani permangono perché non c’è un unico islam. C’è però una maggiore stima e fiducia reciproca dopo questa visita. Con le altre Chiese cristiane i rapporti sono sempre più saldi. Conosco Bartolomeo I, ho parlato tante volte con lui e posso dire che ci tiene molto alla collaborazione col Vaticano. Anche la proposta segreta che il patriarca ha dichiarato di aver fatto al Papa (in un’intervista ad Avvenire del primo dicembre scorso – ndr) è un’iniziativa concreta che va in questa direzione. Ma rimane tra gli ostacoli la mancanza di unità del mondo ortodosso, soprattutto la diffidenza tra Costantinopoli e Mosca.

Durante la visita è risuonato più volte l’appello alla pace in Terra Santa…
La riconciliazione in Medio Oriente è decisiva anche per tanti altri conflitti che insanguinano il pianeta. Poi quella non è una terra come le altre: lì convivono le tre grandi religioni monoteiste. E non mi sorprende che l’appello sia venuto dalla Turchia, perché storicamente è la seconda culla del cristianesimo dopo la Terra Santa. Il suolo turco è stato solcato dai primi seguaci di Cristo: Paolo di Tarso, Giovanni, Filippo…

Cambierà qualcosa per i cattolici in Turchia?
Ho avuto modo di sentire i frati che sono lì: confidano in una maggiore libertà. Per ora ne gode solo l’islam. Con le altre Chiese i rapporti sul campo sono buoni, come del resto succede spesso fra minoranze. La situazione turca mi ricorda quella di alcune regioni mediorientali, come la Siria. Il problema è che in Siria c’è unità culturale: sono tutti arabi. Arabi di Chiese diverse e arabi musulmani. Non ci sono problemi etnici. In Turchia invece sì.

Con quale sentimento ha ripreso il suo impegno ecumenico dopo la tappa turca di Benedetto XVI?
Per noi francescani il viaggio papale è stata un’iniezione di coraggio, di ottimismo e di speranza. Sappiamo di non essere soli. Il Papa ci sostiene nella nostra missione.

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