In Siria la censura non è timida. Basta un'occhiata ai giornali per rendersene conto: domina l'informazione di regime e non è ammessa alcuna critica. Ma qualcosa sta cambiando. Spuntano voci dissonanti, soprattutto tra i giovani. Va da sé: uno dei canali privilegiati è Internet, dove si pubblicano le verità non autorizzate e non raccontate dalla stampa ufficiale. Gli apparati di sicurezza vigilano e provano a stroncare. Con alterne fortune.
In Siria la censura è una presenza palpabile. Se ne ha la prova guardando i giornali, dove domina l’informazione di regime e non è ammessa nessuna critica. Negli ultimi tempi, però, qualcosa sta cambiando. Qualche voce dissonante rispetto al regime di Bashar al Assad si inizia ad avvertire, soprattutto tra i giovani. Uno dei canali privilegiati è proprio quello di Internet, che sta diventando una delle poche praticabili palestre di democrazia. Un fenomeno in crescita, anche se la dissidenza telematica è ormai nel mirino delle autorità di Damasco.
Attraverso e-mail, chat e blog, audaci ed abili ribelli cibernetici sono riusciti a rianimare il dibattito politico e a sollecitare la riflessione di mezzo milione di utenti della rete.
Le forme d’azione sono la diffusione da un lato di notizie e articoli non pubblicati nei quotidiani ufficiali, dall’altro di scritti che attaccano l’apparato di sicurezza, l’intelligence e persino il governo denunciandone l’incompetenza, la corruzione e la natura dittatoriale.
Il governo non se ne sta con le mani in mano. L’apparato di sicurezza è continuamente al lavoro per scovare identità e locazione dei bloggers che rischiano anche il carcere e l’esilio. Negli Internet point di Damasco gli agenti dell’intelligence sono mischiati agli utenti e con programmi appositi controllano la navigazione per identificare chi viola la censura. Ma è Internet ad avere la meglio: il fenomeno sta raggiungendo una diffusione ed una forza tali che contenerlo sembra essere un’impresa impossibile.
La coscienza politica dei siriani sembra, dunque, iniziare a rifiutare la quieta obbedienza al regime, anche se il prezzo da pagare è spesso alto.
Un altro settore in fermento della società siriana è quello religioso. Dopo decenni in cui lo Stato si è impegnato in una diffusa laicizzazione della società, si assiste ad un ritorno all’islam in un Paese che si dichiara all’86 per cento musulmana. La recente guerra contro Israele e il peso crescente degli Hezbollah sciiti (la maggioranza siriana è però sunnita) ha risvegliato ulteriormente il senso d’appartenenza religiosa.
Oggi il 30 per cento degli uomini, in gran parte giovani, prendono parte alle preghiere del venerdì nelle moschee che stanno crescendo di numero grazie ai finanziamenti sauditi; le donne incominciano a studiare il Corano e ad indossare il velo per strada; in città conservatrici, come Aleppo, Ideleb e Hama, sono sorte librerie specializzate, centri di cultura islamica ed istituti di assistenza, mentre nella stessa Damasco alcuni ristoranti non servono più alcolici e riservano spazi distinti alle famiglie e ai single. In questo contesto, l’islam politico sta crescendo per peso e influenza. Soprattutto i Fratelli musulmani (un movimento che in passato si è opposto anche con la forza al governo di Hafiz al-Assad) stanno riacquistando spazio politico. Ma si fa strada, seppur a fatica, anche un islam moderato, che viene incoraggiato anche a livello istituzionale. L’idea è quella di favorire lo studio delle maggiori correnti e dei principi dell’islam tradizionale, per mettere al riparo il Paese da ulteriori derive fondamentaliste.