Questa montagna è verde in ogni stagione dell’anno/ Io sto ancora sognando e domandando/ Respirando la tua aria come per la prima volta/ Vivendo alla tua ombra, monte Carmelo». Sono le parole del ritornello di un canto israeliano che supporta una nota danza popolare denominata Ha-har ha-jaroq, «La montagna verde», nella quale questo monte viene descritto insieme a ricordi giovanili e a speranze di chi abita «alla sua ombra», alle sue pendici ove sorge la città di Haifa, il cui nome – secondo alcuni – potrebbe significare «cosa bella», come la baia naturale in cui è collocata.
Questa città, uno dei porti più importanti del Mediterraneo orientale, è un esempio di integrazione multietnica e multireligiosa: è abitata da ebrei, musulmani, cristiani e drusi ed è la sede mondiale amministrativa e spirituale della religione Bahai, nata verso la metà del XIX secolo. Passeggiando per le sue vie – che recentemente hanno subito violenti bombardamenti – si incontrano sinagoghe, moschee, chiese, si ammirano gli splendidi giardini Bahai disposti a terrazze, nell’orizzonte di un intrecciarsi di discorsi in lingue diverse e di dinamiche tipiche di una città moderna che cerca di coniugare la memoria del passato con le esigenze della tecnologia. Haifa non è menzionata nella Bibbia, ma nei testi della tradizione rabbinica è considerata un centro importante dell’ebraismo postbiblico che, dopo alterne vicende, agli inizi del ‘900 è diventata la grande città del «ritorno» verso la Terra dei padri grazie alla costruzione della ferrovia che la congiungeva sia a Damasco che a Gerusalemme.
Qui sorge un famoso ospedale denominato Rambam, sigla con la quale si indica il grande Mosè Maimonide (Rabbi Mosè ben Maimon, 1138-1204), medico e autore di opere sia religiose che filosofiche, il primo tra i pensatori ebrei ad essere accolto nella filosofia occidentale. Vale la pena ricordare che è in elaborazione un nuovo progetto assistenziale che porterà il suo nome («Progetto Maimonide»), nel quale sono coinvolti medici ebrei e palestinesi che collaboreranno per uno scopo comune.
Menzionato nella Bibbia è invece il monte Carmelo, luogo considerato sacro fin dalla più lontana antichità. Si ritiene che una delle numerose grotte naturali ritrovabili sul versante che si affaccia verso il mare sia quella di Elia, che aveva fatto di questo monte il baluardo del monoteismo contro l’idolatria dei falsi profeti di Baal: qui infatti egli avrebbe compiuto il famoso sacrificio per dimostrare l’autenticità del Dio di Israele e per richiamare il popolo alla conversione e, dalla cima del medesimo, avrebbe annunciato la fine della siccità inviata a causa del male operato da Acab (1Re 18,1ss.).
Elia è una figura cara anche alla tradizione islamica che lo chiama al-Khader, il «verdeggiante» cioè il vivente. Ai piedi del monte Carmelo si può visitare «la scuola dei profeti»: una grotta interamente scavata nella roccia con le pareti ricoperte di iscrizioni di diverse epoche in varie lingue, alcune antichissime, che testimoniano l’ininterrotto afflusso di pellegrini a questo luogo attualmente custodito e frequentato sia da ebrei che da musulmani, presso il quale – una volta all’anno, il 14 giugno – anche i padri carmelitani celebrano l’eucaristia. Questo profeta, che non muore ma viene rapito in cielo da un «carro di fuoco» (2Re 2,11-13), è legato all’inaugurazione dei «tempi messianici» che porteranno la salvezza definitiva nella storia.
(L’autrice è docente di giudaismo presso il Centro Studi del Vicino Oriente – Milano)