In nome della sicurezza nazionale le forze armate israeliane continuano a imporre ai palestinesi, dentro i loro Territori, posti di blocchi e sbarramenti che producono pesanti ripercussioni negative sulla vita quotidiana e sono - a detta dei funzionari Onu - una delle cause primarie dell'emergenza umanitaria in atto. Un ufficio specializzato delle Nazioni Unite fa il punto sulla dislocazione degli ostacoli alla libertà di movimento fino al settembre 2006. Ve ne riassumiamo i punti salienti.
(g.s.) – Istituito nel 1998, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento delle questioni umanitarie (il cui acronimo inglese è Ocha) tiene d’occhio varie aree sensibili del pianeta. Uno dei suoi uffici regionali più attivi è quello incaricato – dal 2000 – di monitorare la situazione dei Territori Palestinesi (Ochaopt).
Tra i rapporti periodicamente redatti dai funzionari di Ochaopt vi sono anche quelli sulla dislocazione dei posti di blocco imposti in Cisgiordania dall’esercito israeliano in nome della sicurezza nazionale (l’Ocha registra la motivazione fornita dal governo di Israele: proteggere i suoi cittadini dagli attacchi suicidi che nel corso della seconda Intifada – iniziata nel 2000 e protrattasi, nella sua fase più cruenta, fino al 2004 – hanno seminato circa un migliaio di morti).
Sono proprio gli ostacoli alla libera circolazione delle persone nei Territori formalmente posti sotto la sovranità dell’Autorità nazionale palestinese a costituire la causa primaria della crisi umanitaria in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, osserva Ocha nel suo più recente rapporto in materia, aggiornato al settembre scorso.
Il rapporto esamina l’andamento del precedente trimestre e registra che «non si osserva alcun significativo miglioramento» riguardo alla libertà di movimento dei palestinesi.
In particolare:
– gli spostamenti dei residenti a Nablus e nei governatorati settentrionali verso il resto della Cisgiordania continuano a subire pesanti restrizioni;
– gli autoveicoli palestinesi non hanno accesso alle principali arterie utilizzate dal traffico israeliano, perché ne sono impediti da posti di blocco e barriere artificiali;
– la valle del Giordano ha subito un ulteriore isolamento;
– «la costruzione della Barriera (o in altri termini del Muro voluto da Israele per difendersi e separarsi dai palestinesi – ndr) accresce la quantità di terreni agricoli rimasti in "aree chiuse" tra la Barriera e la Linea Verde» (la linea di demarcazione provvisoria post-bellica stabilita negli armistizi del 1949 tra Israele e i vicini Stati arabi).
Al 20 settembre, dice l’Ocha, si contavano in Cisgiordania 528 posti di blocco e sbarramenti piazzati dall’esercito israeliano. Sono il 2 per cento in più di quelli censiti a giugno 2006, l’11 per cento in più di quelli eretti all’inizio dell’anno e il 40 per cento in più di quanti se ne contavano nell’agosto 2005. Tutto ciò mentre più a nord – tra luglio e agosto – infuriava il confronto armato tra Israele ed Hezbollah libanesi.
Il rapporto Ocha in inglese riempie quattro pagine e scende in dettagli geografici che qui non è il caso di menzionare senza il supporto di una mappa (vi rinviamo al sito web di Ochaopt e alla sua sezione mappe).
Vale però la pena di soffermarsi, prima di concludere, sui dati relativi ai posti di blocco volanti, istituiti senza preavviso dalle pattuglie israeliane, spesso in punti nevralgici della rete viaria palestinese e nelle ore di punta, così che le ricadute negative sono per forza di cose maggiori. Nel gennaio 2006 gli osservatori Ocha ne hanno contati 96, mentre in settembre 151. Il picco è stato raggiunto in luglio con 182.