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Agosto 2006. A causa della guerra tra Israele e gli Hezbollah del Libano le case per pellegrini si sono svuotate. Ma poi hanno accolto le famiglie sfollate dalla Galilea. Ce lo racconta il padre Custode, Pierbattista Pizzaballa.

Dopo la guerra voglia di serenità

Giampiero Sandionigi
5 ottobre 2006
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Dopo la guerra voglia di serenità
Beirut, agosto 2006. Donne e bambini tra le macerie della capitale libanese bombardata dall'aviazione israeliana.

In agosto, mese che avrebbe dovuto far raggiungere il picco di pellegrinaggi in Terra Santa, le case per pellegrini si sono svuotate. A causa del conflitto tra Israele e gli Hezbollah del Libano quasi tutte le comitive hanno preferito restarsene a casa. Così, nell’emergenza, le stanze rimaste vuote sono state messe a disposizione – a prezzi politici – delle famiglie cristiane sfollate dalla Galilea. Si trattava, per lo più, di giovani coppie con figli piccoli e in grado di pagarsi almeno un certo ammontare di spese per un soggiorno che avrebbe potuto risparmiare ai bambini il prolungato stress di giorni e notti di ininterrotti bombardamenti.

Anche i francescani di Gerusalemme e Betlemme hanno aperto le porte delle loro case di ospitalità (2.300 le persone albergate). Abbiamo rivolto qualche domanda in proposito al padre Custode, Pierbattista Pizzaballa.

Durante il conflitto parecchi dal nord Israele hanno trovato rifugio a Betlemme (forse più che a Gerusalemme). Sembra strano che si cerchi rifugio in una città palestinese per di più circondata da un muro. Eppure i numeri dell’ospitalità offerta dalla locale Casa Nova (1.500 ospiti) sembrano confermarlo.
A Betlemme i prezzi erano molto più bassi che non a Gerusalemme. Durante il conflitto e la continua pioggia di razza al nord di Israele la città sovrabbondava di arabi israeliani. Nella Casa Nova di Betlemme le famiglie si sono fermate molto più a lungo che non a Gerusalemme. Diciamo che una buona metà delle persone sfollate è rimasta lì per tutto il tempo mentre altrettanti si avvicendavano di continuo.
Alla Casa Nova di Gerusalemme il grosso delle presenze si è registrato negli ultimi dieci giorni del conflitto. In parecchi erano rimasti ad Haifa, la città più bombardata, per diverse settimane, ma verso la fine si sono visti costrette a partire per ridare un po’ di serenità ai bambini piccoli. Quando i cristiani hanno saputo che i frati offrivano ospitalità a prezzi simbolici, si sono trasferiti da dove si trovavanopresso la nostra casa per pellegrini.

A luglio, nei giorni di massima emergenza, la Custodia aveva lanciato un appello internazionale per chiedere fondi. Quanto è stato raccolto?
Per l’Italia i fondi sono pervenuti da diversi canali: dalla Regione Lombardia è arrivato un contributo pari a 50 mila euro. Inoltre ci sono stati appelli su Famiglia Cristiana, oltre che su Eco di Terrasanta e Terrasanta.net. Oltre allo stanziamento della Regione Lombardia (avvenuto a fronte di uno specifico progetto legato all’emergenza e presentato dalla ong della Custodia Amici di Terra Santa – ndr), abbiamo raccolto finora, tramite offerte e donazioni, altri 50 mila euro.

Ora che le armi tacciono i pellegrini cominciano già a far ritorno? Quali previsioni per i prossimi mesi?
I pellegrini non hanno ancora cominciato a tornare in grandi numeri. Credo che ci vorranno ancora mesi. La macchina dei pellegrinaggi deve riprendere a muoversi nuovamente da zero. La preparazione di un pellegrinaggio richiede tempo.

Quali notizie vi arrivano dai frati della Custodia che vivono in Libano?
Le nostre comunità in Libano non hanno subito danni fisici rilevanti. Tutti sono però, ovviamente, prostrati e stanchi per quanto accaduto. I cristiani, in particolare, si sono sentiti totalmente «esclusi dal gioco» ed emarginati. I giovani, soprattutto, sono feriti da quanto accaduto e dall’enorme violenza fisica, verbale e psicologica che li ha investiti. È forte la tentazione di andarsene.

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