Gli strascichi della guerra di Israele contro gli Hezbollah libanesi tengono alto il livello della tensione anche tra Israele e Siria. Nei giorni scorsi il governo di Damasco si è impegnato con il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, a fermare il flusso di armi destinate ai combattenti di Hezbollah, ma ha anche ribadito che non tollererà il dispiegamento dei caschi blu lungo i confini con la Siria. Osservatore privilegiato della scena siriana e mediorientale è il patriarca greco-cattolico di Antiochia Gregorio III Laham. Il bimestrale Terrasanta, ha ottenuto da lui uno spaccato quanto mai significativo della situazione che si trovano a vivere i cristiani locali nel clima del Medio Oriente d'oggi. Eccovi qualche stralcio della conversazione.
Gli strascichi della guerra di Israele contro gli Hezbollah libanesi tengono alto il livello della tensione anche tra Israele e Siria, due Paesi che hanno diversi contenziosi in corso (il più importante dei quali riguarda le Alture del Golan, occupate da Israele).
Nei giorni scorsi, durante la sua visita a Damasco, Kofi Annan ha incassato qualche sì e qualche no dal presidente Bashar al Assad. Quest’ultimo ha assicurato al segretario Onu che fermerà le armi indirizzate ai combattenti di Hezbollah, ma ha ribadito che non tollererà il dispiegamento dei caschi blu lungo i confini con la Siria. Un simile atto – ha ribadito il presidente siriano – verrà considerata un’azione ostile.
Osservatore privilegiato della scena siriana e mediorientale è il patriarca greco-cattolico di Antiochia Gregorio III Laham, la cui sede si trova proprio a Damasco. Religioso salvatoriano, patriarca dal 2000, Gregorio III ha giurisdizione su circa 2 milioni di cattolici di rito bizantino, 800 mila nel solo Medio Oriente. Siria, Libano, Israele e Palestina, con oltre 760 mila fedeli, costituiscono lo «zoccolo duro» della Chiesa melkita in Oriente, oltre che obiettivi «sensibili» di ogni nuova crisi.
In un’intervista pubblicata sul bimestrale Terrasanta (luglio-agosto 2006), il patriarca offre uno spaccato quanto mai significativo della situazione che si trovano a vivere i cristiani locali nel clima del Medio Oriente d’oggi.
«Noi cristiani siamo arabi – dice Laham – e viviamo assieme ai musulmani da 1.400 anni. Certamente le tensioni non mancano e cresce il fondamentalismo musulmano, ma siamo convinti del fatto che nella maggior parte dei casi questo fenomeno sia determinato dalla situazione politica del Medio Oriente, e dal conflitto tra israeliani e palestinesi in prima battuta. Noi cristiani subiamo oggi una situazione di discriminazione. Ogni crisi in Medio Oriente significa una nuova ondata d’emigrazione. L’unico fattore capace di preservare il cristianesimo in Medio Oriente è la pace».
Dalla guerra dei Sei giorni alla seconda Intifada, poi l’arrivo sulla scena di Hamas e infine la guerra di Iraele contro Hezbollah: «Ogni nuova pressione, ogni conflitto, ha come risultato un esodo di cristiani, quasi ci fosse una strategia. I cristiani hanno una grande responsabilità in Medio Oriente, perché possono aiutare il dialogo e il confronto tra religioni e civiltà. La loro sparizione non conviene all’Occidente, men che meno a coloro, come gli Usa, che si sono prefissi di importare la democrazia come se fosse una medicina buona per tutti i mali. Per questa ragione l’Occidente cosiddetto cristiano dovrebbe impegnarsi per favorire la stabilità e la pace, che significa garantire la sopravvivenza per i cristiani in questa Terra».