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Si è spento l’egiziano Nagib Mahfuz, premio Nobel per la letteratura

30/08/2006  |  Il Cairo
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Si è spento l’egiziano Nagib Mahfuz, premio Nobel per la letteratura
Il premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz.

Era uno dei massimi intellettuali musulmani e arabofoni contemporanei. Dai genitori aveva assorbito una profonda sensibilità per le tematiche nazionaliste e religiose, ma poi aveva spostato la sua attenzione sulle condizioni di vita delle popolazioni urbane più povere. Inviso agli integralisti, era anche un propugnatore del dialogo tra le tre grandi tradizioni monoteiste nate in Medio Oriente e nella penisola araba.


Naguib Mahfuz è stato certamente il massimo scrittore egiziano e in lingua araba del secolo scorso, inesausta voce della quotidianità nei quartieri popolari del Cairo. Il grande artista e pensatore, il fine filosofo portavoce della visione più conciliante e matura dell’islam moderno, si è spento questa mattina – quasi 95enne – dopo essere entrato in ospedale lo scorso 10 agosto per una piccola infezione polmonare.

Mahfuz, nato nel popolare quartiere di Gamaliyya al Cairo, era l’ultimo dei sei figli di un appassionato patriota, che con reiterati discorsi politici aveva acceso nel figlio attenzione al nazionalismo egiziano. Dalla madre, figlia di uno sceicco dell’università sunnita di al Azhar, aveva invece ereditato un forte sentimento religioso. Patriottismo e passione religiosa si attenuarono via via per lasciare spazio all’interesse per la quotidianità dei quartieri poveri del Cairo, la cui esistenza vivace è riflessa con gusto quasi neorealista nelle sue opere maggiori (Il nuovo Cairo, 1945; Khan el Khalili, 1946; Vicolo del mortaio, 1947 e, soprattutto, La trilogia del Cairo, 1956-7).

Per anni lo scrittore non pubblicò più nulla: il colpo di stato di Nasser e la violenza ad esso connessa lo spinsero alla ricerca di una nuova via letteraria. Questo silenzio venne rotto con Il rione dei ragazzi (1959), già prodromo di opere più simboliste e intimiste, quali Il ladro e i cani (1961), Chiacchiere sul Nilo (1966) e Miramar (1967).

Conseguì il Nobel nel 1988 e il 14 ottobre 1994, a seguito di un accoltellamento da parte di un integralista, perse la funzionalità della mano destra e vide limitata la sua attività letteraria. Non si perse d’animo e scrisse il suo ultimo capolavoro (I sogni della convalescenza), pubblicato per la prima volta nel 2002 ma arricchito da continue storie, che periodicamente appaiono sulla rivista Nisf ad-Dònya.

Era il guru del dialogo interreligioso proposto, anzi quasi preteso, in nome di un idem sentire che lega i tre monoteismi in una sola spiritualità di comune scaturigine. E tale tolleranza è da trasferire poi sul piano dei rapporti tra Stati: «Al di là delle responsabilità di ciascuno, che mi sembrano gravi in egual misura per tutti, – disse a commento del recente conflitto israelo-libanese – la situazione in Medio Oriente dev’essere ricondotta a una pronta tregua, premessa per una pace duratura. Pace, che soprattutto i civili, vittime innocenti di conflitti a loro incomprensibili, esigono senza mezzi termini».

Il premio Nobel, in queste recentissime considerazioni, rilasciate tra un ricovero e l’altro, raccoglieva le ultime energie di un vitalismo mai sopito per condannare con uguale fermezza l’intervento militare israeliano in Libano e la proditoria guerriglia dei terroristi Hezbollah. Si è mostrato l’unica voce dissonante del mondo intellettuale e politico egiziano (e islamico in generale), così ottusamente schierato nell’aprioristico sostegno al Partito di Dio, visto come il solo baluardo dei musulmani contro «il complotto sionista» e come l’unica forza in grado di compattare correnti fino ad ora inconciliabili.

 

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