Secondo la tradizione qui si rifugiarono Elisabetta e il piccolo Giovanni - che poi sarebbe diventato profeta e precursore del Cristo - per sottrarsi alla minaccia di Erode e alla strage dei bimbi coetanei coetanei di Gesù. Il luogo è ora un santuario affidato ai francescani e meta di pellegrini d'ogni estrazione. Folta la rappresentanza di ortodossi russi ed ebrei, ma non mancano neppure le visite di italiani. Come Luigi che qui aveva lasciato un pezzetto di cuore e ha voluto farvi ritorno per un'occasione specialissima...
Il sole picchia forte nella valle di Ain el-Habis. Salendo, però, per un piccolo sentiero sterrato, si raggiunge un’oasi da miraggio. Qui, non lontano da Ain Karem, si erge il monastero di San Giovanni del Deserto. L’eremo, abbarbicato sulla roccia di un monte, è nascosto da una fitta vegetazione. Ma il ristoro che attende il pellegrino stanco è ben più grande dell’ombra offerta dagli ulivi secolari. Questo luogo è da sempre un balsamo per gli affanni dell’animo. Secondo il vangelo apocrifo di Giacomo, Elisabetta, la madre del Battista, trovò riparo con il fanciullo in una grotta di questa altura: temeva che Erode volesse uccidere non solo Gesù, ma anche suo cugino.
Giovanni Battista vi avrebbe soggiornato per alcuni periodi e si sarebbe dissetato alla sorgente che sgorga dalla roccia. Per la tradizione, sua madre sarebbe morta e sepolta qui. Così questo posto è diventato meta di pellegrini sin dai primi secoli dopo Cristo. Santa Elisabetta riposerebbe in una tomba di epoca romana in cima alla montagna. È custodita all’interno di un edificio costruito dai crociati nel XIV secolo, oggi abitato dalle suore di Grand Champ, una comunità di religiose luterane che s’ispira alla spiritualità di Taizé. Più in basso si trova la chiesa rupestre proprio nella grotta che avrebbe accolto la madre del Precursore.
È facile lasciarsi rapire da questo luogo in cui nella preghiera viene spontaneo dare del tu a Dio. La natura e un silenzio interrotto solo dal solitario grido degli uccelli, proiettano i pellegrini fuori dalla quotidianità con le sue preoccupazioni, le sue ansie. Ne sa qualcosa uno che nella vita è abituato a correre: Luigi Esposito, 40 anni, atleta della società sportiva di atletica leggera «Fratellanza Modena». Lui ha conosciuto San Giovanni del Deserto tre anni fa, in occasione della prima «Maratona della Pace», l’iniziativa promossa dalla Cei, dal Centro sportivo italiano (Csi) e dall’Opera romana pellegrinaggi. È una corsa di dieci chilometri, da Gerusalemme a Betlemme, pensata per favorire l’incontro tra atleti israeliani e palestinesi, ma aperta a tutti i pellegrini. «Alla prima edizione – ricorda Luigi – eravamo in pochi: molti atleti avevano paura di correre. Ora, nonostante la situazione in Medio Oriente rimanga difficile, siamo in molti, in maggioranza giovani». L’incontro con la terra di Cristo è stato molto più di una corsa simbolica: «Non pensavo – continua l’atleta, originario di Napoli, ma residente a Modena – che aderendo a questa manifestazione, anche il mio cammino di fede ricevesse nuova linfa. E invece…».
Il 27 aprile scorso per la terza volta Luigi era ai nastri di partenza della «Maratona della Pace». Per lui la corsa ha avuto però un altro epilogo. Si è conclusa il giorno dopo in San Giovanni del Deserto, dove ha sposato Enza Bosi, sua coetanea. «È stata una decisione presa insieme – spiega lo sposo – e maturata in seguito alle maratone in Terra Santa. Entrambi ricordiamo con grande emozione la celebrazione in cui era presente anche nostra figlia, la piccola Anna, di tre anni. In quella chiesa si avverte facilmente la presenza di Dio».
Il complesso monastico, affidato ai frati francescani della Custodia di Terra Santa, è diventato punto d’incontro per le diverse confessioni cristiane. Alla sua sorgente vengono a purificarsi molti pellegrini ortodossi russi, all’inizio del loro pellegrinaggio nella terra di Gesù, ma anche non pochi ebrei che si preparano così a eventi religiosi di particolare rilevanza.