Ce lo siamo chiesto tutti, dopo il (primo) mese di guerra tra israeliani e libanesi in questa estate 2006. Di certo hanno perso le popolazioni colpite dai bombardamenti e le economie dei due Paesi coinvolti. Ma sul piano politico chi esce rafforzato e chi indebolito?A leggere analisi e commenti della stampa internazionale hanno le ossa rotte soprattutto i massimi dirigenti politici e militari israeliani.Gli sciiti libanesi di Hezbollah sembrano, invece, ancora in grado di dettare condizioni al governo di Beirut e forse anche alla comunità internazionale. Facciamo il punto.
Ieri pomeriggio a Gerusalemme alcune centinaia di riservisti e familiari di soldati caduti nel conflitto delle scorse settimane in Galilea e sud del Libano si sono recati in «pellegrinaggio» alla tomba di Golda Meir. La «signora di ferro» laburista fu primo ministro di Israele dal marzo 1969 al giugno 1974 e si dimise in seguito alla guerra dello Yom Kippur, assumendosi la responsabilità dell’indadeguata gestione politica del conflitto.
Vistarne la tomba oggi – mentre in Israele si tirano, vivacemente, le somme di un mese di guerra – è un modo eloquente per dire a Ehud Olmert, il primo ministro in carica, di imitare la Meir e far fagotto. La manifestazione pare essere figlia di ambienti di destra, ai quali probabilmente non par vero di poter liquidare anzitempo la breve esperienza di Kadima, il giovane partito che Olmert ha ereditato dal morente Ariel Sharon e che alle elezioni dello scorso 28 marzo non ha ottenuto lo sperato trionfo.
Proprio in queste ore alcuni sondaggi registrano uno spostamento dell’elettorato verso destra, alla ricerca di leader forti, capaci di fronteggiare le emergenze. Ce ne saranno davvero? Oppure Olmert riuscirà a superare la crisi e a restare in sella, salvando il proprio onore e quello dei vertici delle forze armate, anch’essi accomunati alla sua malasorte e coperti di critiche? Impresa non facile, in un momento in cui anche la presidenza della Repubblica è indebolita da un grave scandalo che coinvolge in prima persona il capo dello Stato Moshe Katsav.
In Libano gli Hezbollah si leccano le ferite sotto il profilo militare, ma cantano vittoria sul piano politico. Anche molti libanesi che li osteggiano e preferirebbero vederli disarmati, nelle ultime settimane di guerra si sono stretti intorno a loro per spirito di unità nazionale. Oggi Hassan Nasrallah e i suoi uomini offrono sussidi economici agli sfollati e rimangono attestati nel Libano meridionale insieme alla popolazione civile. È prevedibile che da qui in poi gli Hezbollah terranno un basso profilo: niente esibizioni pubbliche di armi e milizie. Ma in cambio il disarmo avverrà – se avverrà – secondo i tempi e i modi del negoziato politico con il governo di Beirut (di cui anch’essi fanno parte). Non sarà una faccenda gestita dai militari. I vertici dell’esercito libanese e della forza multinazionale Onu, che si va dispiegando, ne sono già ben consapevoli.