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«Restiamo al nostro posto. E preghiamo per la pace»

31/07/2006  |  Cafarnao
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«Restiamo al nostro posto. E preghiamo per la pace»
Un'immagine della sinagoga di Cafarnao (foto P. Colla/Ets)

Da Cafarnao, in Galilea, ci giunge la testimonianza di fra Stefano De Luca, archeologo dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, che vive e lavora nel villaggio del primo degli apostoli. Nonostante la guerra (e i missili degli Hezbollah), l'impegno per lo studio e la tutela dei Luoghi Santi prosegue.


Stiamo tutti bene. Nessun convento della Galilea ha finora subito alcun tipo di danno per i razzi degli Hezbollah, anche se qualche volta ci sono andati vicini. Ne è caduto uno presso l’incrocio stradale che conduce al Monte delle Beatitudini, a circa 400 metri da Tabgha. Fortunatamente si è schiantato sulle falde del monte provocando solo l’incendio di una piccola area incolta. Più d’uno è caduto sulla cima, ma senza causare danni alle persone. Ogni tanto qualcuno si tuffa nel lago, sollevando qualche spruzzo e qualche volta anche un poco di paura, mentre un buon numero si è diretto a Tiberiade, dove la gente è terrorizzata. Credo che l’angoscia maggiore sia ascoltare l’allarme stridulo delle postazioni antimissilistiche che preavvisa di un minuto, quando non è in ritardo, l’arrivo degli ordigni. La settimana scorsa quasi tutte le attività commerciali della città erano chiuse e questo è l’unico inconveniente per noi, specialmente per la posta e il rifornimento settimanale dei viveri. Il prolungarsi del conflitto, che da quello che capiamo non è destinato a chiudersi in breve tempo, ha rarefatto le visite dei pellegrini del 90 per cento. E questo è l’effetto che più ci rattrista.

Qualche giorno fa è passato in visita un temerario gruppo di pellegrini pugliesi guidato da padre Pio D’Andola e dal granitico padre Leonardo Di Pinto. I funzionari dell’ambasciata italiana di Tel Aviv ci chiamano spesso chiedendo se abbiamo bisogno di qualcosa e ci hanno dato un numero di emergenza, in caso di problemi.

Sul fronte opposto la situazione dei nostri conventi libanesi, specialmente a Beirut, è molto preoccupante. Finché l’aviazione israeliana risparmierà i quartieri cristiani non c’è da temere, ma capiamo che è solo questione di giorni. Purtroppo.

Da parte nostra cerchiamo di non preoccuparci più del dovuto e, anzi, stiamo mandando avanti un po’ di lavori nei campi di Cafarnao e di Magdala. Con un manipolo di operai cristiani di un villaggio qui vicino abbiamo aperto una breve campagna di scavi per ripulire le antichità della grande città natale di Maria Maddalena, che al tempo di Gesù contava 40 mila persone. Gli scavi archeologici condotti dai padri Corbo e Loffreda nel lontano quinquennio 1971-1975 avevano riportato alla luce un vasto settore urbano che, in oltre 30 anni di abbandono, era ormai irriconoscibile, ricoperto da un esteso accumulo di terre, detriti e da una fittissima vegetazione selvatica Riscavare il monastero bizantino, le case, le ville e le strade lastricate del I secolo, proprio nel giorno della festa liturgica della Maddalena (che si celebra il 22 luglio – ndr), ha avuto per noi un significato davvero speciale, nonostante il caldo asfissiante e l’allarme del coprifuoco di Tiberiade che ogni tanto rompeva il silenzio, accompagnato dal rombo cupo dei caccia israeliani diretti a nord. Tutti fermi con il naso all’insù, trattenendo il fiato. Poi, dopo un minuto, tirando un respiro di sollievo ed asciugandoci la fronte, tornavamo al lavoro di zappa e piccone.

Abbiamo celebrato anche noi in comunione con la Chiesa la speciale giornata di preghiera e penitenza per implorare il dono della pace (si è tenuta il 23 luglio – ndr). Lo abbiamo fatto restando al nostro posto e continuando la nostra missione in questa terra santa, israeliana, musulmana, cristiana. La terra di tutti gli uomini di buona volontà.

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