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Pellegrini da Asia e America Latina, nostante la guerra

25/07/2006  |  Gerusalemme
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La città santa si svuota di pellegrini italiani (ed europei in genere), ma al Santo Sepolcro rimane significativo il flusso di pellegrini da Asia e America Latina. A Gerusalemme tutto sommato la situazione è serena, mentre nel resto del Paese resta alta l'allerta per i possibili attacchi missilistici. Il vicario custodiale padre Artemio Vitores: «Non dobbiamo lasciarci abbattere dalla situazione e conservare la speranza».


(g.s.) – È partito ieri mattina da Casa Nova di Gerusalemme – la struttura di ospitalità per pellegrini dei francescani – uno degli ultimi gruppi di pellegrini italiani in Terra Santa per quest’estate.
Erano 46 persone – giovani, anziani e di mezza età – provenienti dalla provincia di Bari (e in particolare dal capoluogo e dai comuni di Bitonto, Molfetta, Bisceglie, Bitetto, Trani e Grumo.
Avevano lasciato la Puglia il giorno 17 nonostante i missili degli Hezbollah cadessero sul nord della Galilea già da alcuni giorni. Qualcuno prima di decidersi aveva anche chiamato l’unità di crisi della Farnesina, che fino al 19 luglio non scoraggiava ancora i pellegrinaggi.

La linea è mutata con il Katiusha caduto su Nazareth, a poca distanza dalla basilica dell’Annunciazione. Il razzo ha ucciso due fratellini nel tardo pomeriggio. I nostri pellegrini avevano lasciato la cittadina nella mattinata.
Dicono di non aver incontrato particolari problemi. Dal programma hanno rimosso però le tappe di Acri, Haifa e del Monte Carmelo, che si trovano nelle aree ancor oggi maggiormente sotto tiro.

Padre Pio D’Andola, Commissario di Terra Santa per la Puglia che accompagnava il gruppo, riferisce che per coprire la distanza tra Nazareth e Gerusalemme il pullman ha impiegato 5 ore – oltre il doppio del normale tempo di percorrenza – perché sia la strada interna sia la litoranea erano intasate di auto dirette a sud. È l’unico intoppo registrato per un pellegrinaggio altrimenti svoltosi in relativa serenità, non fosse stato per le allarmate telefonate dei parenti rimasti a casa. Nel loro intenso programma i pellegrini non trovano il tempo per leggere i giornali o guardare i telegiornali, e così traversano più o meno inconsapevoli il Paese.
In questi giorni Gerusalemme è relativamente serena. Nella parrocchia dei francescani in città vecchia (San Salvatore) i giovani si sposano e battezzano i figli. Ma molti tengono l’occhio su Al Jazeera o ascoltano i notiziari alla radio.
Al Santo Sepolcro continuano ad arrivare piccoli gruppi di giovani o gruppi numerosi di pellegrini dall’America Latina e dall’Asia. Abbiamo visto coreani, cinesi di Hong Kong e indiani del Kerala.

Dall’Italia sono piovute cancellazioni e la stagione estiva dei pellegrinaggi è ormai compromessa, in un anno che il ministro del turismo israeliano Isaac Herzog, non molte settimane fa prevedeva come particolarmente favorevole (si attendevano oltre 2 milioni e mezzo di visite per il 2006). Se le azioni belliche nel nord si fermeranno entro una decina di giorni, come molti si attendono, forse se ne riparlerà in autunno.

«Nei 35 anni che ho trascorso in Terra Santa – osserva padre Artemio Vitores, il responsabile in seconda dei francescani che vivono in questa regione – di conflitti ne ho visti molti, da quello del Kippur fino alla seconda Intifada. In tutti i casi i pellegrini sono spariti per un po’. Qui in Terra Santa passiamo sempre da momenti di entusiasmo a fasi di stallo. Il momento peggiore è stato quello tra il 2000 e il 2004. Non vedevamo la luce in fondo al tunnel. Da parecchi mesi sembravamo essere tornati alla normalità e invece è capitata questa cosa del tutto inattesa. Viene quasi meno la speranza. La gente si chiede: un’altra volta? Ma quando finirà tutto questo? Noi francescani dobbiamo conservare la speranza e non lasciarci abbattere. In fondo nel corso dei secoli ne abbiamo viste e passate tante».

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