La guerra e l'instabilità in Medio Oriente hanno determinato il blocco dei pellegrinaggi. Un gravissimo danno economico che pesa anche sulle comunità cristiane.
Per il turismo religioso e i pellegrinaggi, in Terra Santa tornano gli incubi legati al periodo della seconda Intifada. La guerra esplosa nella Striscia di Gaza e in Libano, ha riportato d’un colpo la situazione ad un punto molto simile a quello toccato a metà del 2000, quando si era registrata una caduta libera degli arrivi e delle prenotazioni. Dal 2004 il settore aveva poi conosciuto un’ottima ripresa. Nel 2005 un milione e novecentomila turisti aveva soggiornato in Israele, con un incremento del 27 per cento rispetto al 2004. Il ministero del Turismo di Tel Aviv si era prefisso per il 2006 l’obiettivo di 2 milioni e mezzo di presenze, per la gran parte legate al turismo religioso.
La realtà di queste settimane, fanno sapere i principali tour operator di pellegrinaggi, è di tutt’altra natura: massicce cancellazioni, disdette a raffica, voli charter annullati, di fronte alla situazione di fortissima instabilità e di guerra aperta. Una ulteriore crisi che si aggiunge al già fosco presente dei cristiani in Medio Oriente. Molti posti di lavoro negli alberghi e in tutto il comparto turistico legato ai pellegrinaggi sono occupati infatti da lavoratori cristiani, le cui famiglie rischiano di finire sul lastrico. Anche questo è un «danno collaterale» (non da poco, seppur non paragonabile a quello di chi perde la vita sotto le bombe) della guerra in corso tra Israele e Hezbollah libanesi.