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Orgoglio gay? No, grazie

06/07/2006  |  Gerusalemme
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Dal 6 al 12 agosto prossimo dovrebbero convergere a Gerusalemme attivisti omosessuali da tutto il mondo per il World Gay Pride. L'evento potrebbe però essere cancellato - magari in nome dell'ordine pubblico - se avrà successo la campagna di pressione delle autorità religiose e di chi lo vede come un affronto intollerabile per la città cara ai tre grandi monoteismi. Se invece il calendario verrà rispettato si preannunciano giorni incandescenti.


(g.s.) – Il gran rabbino sefardita Shlomo Amar ha preso carta e penna e il 4 giugno scorso ha inviato una lettera a Benedetto XVI.

Affermando di esprimere il sentire comune delle altre autorità religiose di Israele, Shlomo Amar ha chiesto la solidarietà del Papa per scongiurare che quest’anno la manifestazione mondiale di orgoglio omosessuale si svolga a Gerusalemme.

Il World Gay Pride è in programma tra un mese esatto – dal 6 al 12 agosto – e si articolerà in dibattiti, feste e manifestazioni pubbliche, tra cui anche una marcia.

Dal 2000 ad oggi Gerusalemme ha già ospitato manifestazioni di questo genere, ma solo a carattere nazionale e con poche migliaia di partecipanti, coordinati dalla Jerusalem Open House for Pride and Tolerance (JOH), organizzazione gay-lesbica israeliana sorta nel 1997.

Lo scorso anno un ebreo ultraortodosso – affermando di agire in nome di Dio – accoltellò tre manifestanti ferendoli leggermente. Fu poi condannato a 12 anni di carcere per tentato omicidio con l’aggravante dell’odio e della premeditazione.

Quest’anno il clima è particolarmente surriscaldato perché gli organizzatori hanno promosso una manifestazione internazionale e si attendono adesioni da tutto il mondo.

Nella sua missiva a Papa Ratzinger il gran rabbino sefardita scrive tra l’altro: «Siamo rimasti scioccati nell’apprendere che si vuole tenere la marcia mondiale dell’orgoglio gay proprio nella Città Santa. Quella città a cui il mondo intero guarda per la sua santità e la sua gloria subisce ora l’attacco di persone malvage che intendono violarne l’onore e umilarne la grandezza con azioni che la Torah disdegna, così come fanno tutte le altre grandi religioni».

L’altro gran rabbino di Israele, l’askenazita Yona Metzger, che ai primi di giugno partecipava a un vertice interreligioso a Mosca, ha fatto eco al collega sefardita chiedendo la solidarietà dei partecipanti al vertice per ottenere che le manifestazioni gay in progamma a Gerusalemme siano cancellate.

Le polemiche infuriano – non senza cadute di tono – anche in consessi istituzionali come il consiglio comunale di Gerusalemme e la commissione per gli Affari interni della Knesset, il Parlamento nazionale. In dibattiti a porte aperte, a cui hanno preso parte sia rappresentanti religiosi che attivisti gay, si sono scontrati coloro che chiedono rispetto per la libertà di espressione delle minoranze e chi invece ritiene un’abominevole provocazione manifestazioni che oltretutto, secondo recenti sondaggi, risultano sgradite alla maggioranza della popolazione.

Il sindaco gerosolimitano, Uri Lupoliansky, ha fronteggiato gli organizzatori della manifestazione dicendo loro che «a Gerusalemme per certe provocazioni si paga un alto prezzo». I gay, dal canto loro, hanno accusato il primo cittadino di usare toni irresponsabili e incitare all’odio.

Resta il fatto che in molti, musulmani ed ebrei ortodossi in prima fila, si dicono pronti allo scontro fisico pur di impedire che le manifestazioni in calendario si svolgano come previsto.

Nel corso del Grande giubileo del 2000 il World Gay Pride si svolse – senza disordini – a Roma, nonostante l’opposizione della Santa Sede.

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