Nel calendario liturgico della Chiesa cattolica romana vi sono diverse feste che hanno la loro origine in Oriente, e più in particolare nella Terra Santa. Una delle meno note, e che invece in Oriente gode di grandissima considerazione, è la festa della Trasfigurazione. Essa ha luogo il 6 agosto e ricorda l’episodio narrato nel capitolo 17 del Vangelo di Matteo: Gesù salì con tre discepoli «su un alto monte» e fu trasfigurato davanti a loro. A partire dalla metà del quarto secolo la tradizione si è sempre più orientata a fissare l’evento in Galilea, sul monte Tabor. La festa poi si estese dalla zona di Gerusalemme alla Siria occidentale e in area nestoriana, entrando nel calendario di Bisanzio alla fine del settimo secolo. In Occidente è confinata praticamente all’ambito monastico.
Il motivo della fissazione della festa al 6 agosto non è chiaro, ma è certamente anch’esso un apporto della tradizione di qui. Tale data cade infatti quaranta giorni prima del 14 settembre, giorno dell’Esaltazione della Santa Croce: festa di origine gerosolimitana, che ricorda la dedicazione avvenuta in epoca costantiniana della basilica del Santo Sepolcro (o della Resurrezione, se si preferisce la denominazione orientale). Si conosce il valore simbolico attribuito al numero quaranta nella Bibbia e nella tradizione. Evidentemente si era voluto stabilire un legame fra i due misteri, legame che in seguito si è offuscato.
La tradizione greca ebbe sempre molto caro questo mistero. Basti pensare agli scritti di san Giovanni Damasceno (morto intorno al 750), che visse nel monastero di San Saba vicino a Betlemme. Ma occorre soprattutto ricordare la lunga riflessione sviluppatasi nel quattordicesimo secolo in area bizantina, in particolare ad opera di Gregorio Palamas, monaco del Monte Athos. Questi vide nella luce di Cristo la luce eterna increata equivalente alle energie di Dio, al Regno di Dio presente in Cristo. In tale luce l’uomo, già nel corso della vita, può entrare sempre più a fondo grazie alla preghiera, dono di Dio accolto e custodito nella pratica dei comandamenti, dunque grazie a un’interazione amorosa fra Creatore e creatura. È un cammino di gloria in gloria che solo un occhio trasformato dallo Spirito può vedere, ma dal quale l’uomo intero è coinvolto, anche il corpo, grazie all’incarnazione che ha mutato in profondità le relazioni fra uomo e Dio.
L’umanità deificata, partecipe del Regno, viva di una luce misteriosa proveniente dal suo interno, è anche al cuore del messaggio delle icone. Quando l’iconografo prepara la tavola per la pittura stende su di essa una serie di strati di colore finalizzati a dare l’impressione di una luce proveniente dal suo interno: è appunto questa luce divina, luce della creatura che ha finalmente raggiunto la somiglianza con Dio. Riflettere sulla Trasfigurazione nella prospettiva degli scrittori bizantini è capire gran parte dell’ortodossia, sia al livello della teologia che a quello della pietà.
In cima al monte Tabor vi sono due chiese dedicate alla Trasfigurazione: una è l’imponente chiesa francescana a tutti nota e visibile anche da lontano, costruita in fondo a resti archeologici di chiese più antiche; l’altra è una più umile chiesa ortodossa, seminascosta in fondo a un sentiero. Forse val la pena gettare uno sguardo anche là: tanto più se vi si passa il 5 o il 6 agosto del calendario giuliano, equivalenti ai nostri 18 e 19 agosto: in quei giorni essa è al centro della vita ecclesiale, con pellegrini che accorrono da ogni parte del Paese.
(L’autore vive a Gerusalemme ed è monaco della Comunità di Bose)