Le Agenzie umanitarie delle Nazioni Unite che lavorano nei Territori palestinesi sono preoccupate per l'evoluzione della situazione sociale, che a Gaza va sempre più deteriorandosi. Si fa via via più difficile l'accesso ai beni primari, come cibo e acqua. Peggiorano le condizioni sanitarie.Ne abbiamo parlato con Filippo Grandi, vice commissario generale dell'Unrwa, l'organismo Onu che si occupa dei circa 4,2 milioni di palestinesi registrati come profughi (960 mila dei quali a Gaza).
Le Agenzie umanitarie delle Nazioni Unite che lavorano nei Territori palestinesi sono preoccupate per l’evoluzione della situazione sociale, che rischia di deteriorarsi ulteriormente dopo la crisi di Gaza. Gli aspetti che preoccupano sono legati all’accesso ai beni primari, come il cibo e l’acqua, e al peggioramento delle condizioni sanitarie.
In una dichiarazione congiunta del 10 luglio, Unrwa (l’agenzia che si occupa dei rifugiati), Organizzazione mondiale della sanità, Programma alimentare mondiale, Unicef e Ocha (l’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari), offrono un quadro esauriente (e drammatico) delle condizioni di vita nella Striscia di Gaza e nei Territori.
Sulla situazione nella Striscia e sul concreto rischio di una catastrofe umanitaria, la rivista Terrasanta ha intervistato Filippo Grandi, vice commissario generale dell’Unrwa, l’organismo dell’Onu che si occupa dei circa 4,2 milioni di palestinesi registrati come profughi (di cui oltre 960 mila si trovano nella Striscia di Gaza). L’intervista integrale è pubblicata nel numero di luglio-agosto, all’interno di un dossier di 16 pagine dedicato alla crisi di Gaza. Ecco alcuni passaggi dell’intervista.
«A Gaza la dipendenza dal contesto geografico – spiega Grandi – è totale. Si tratta di un territorio piccolissimo, sovrappopolato, senza attività produttive o con attività che hanno pochissimo mercato interno e adesso nessuno sbocco esterno. Quindi la povertà, che già caratterizzava questa zona, si è aggravata. Tutti gli indicatori di povertà sono aumentati di diversi punti negli ultimi sei mesi. In Cisgiordania la situazione è un po’ diversa: è un’area meno dipendente dal contesto geografico e quindi gli effetti del congelamento dei salari saranno probabilmente più a lungo termine. A Gaza tra l’altro la povertà entra in circolo con tutta la situazione di sicurezza, che è molto fragile. Lo vediamo: va crescendo la tribalizzazione della società, la lotta tra i clan».
«Tutti mi chiedono: siamo già alla crisi umanitaria? È molto difficile dare una definizione di crisi umanitaria. Certo, in una situazione in cui tutte o quasi le fonti di reddito vengono tagliate, constatiamo segni molto preoccupanti. Abbiamo un programma di impieghi di emergenza: ogni tre mesi diamo un certo numero di piccoli lavori a breve termine (tre o sei mesi) per i disoccupati. A Gaza oggi la lista d’attesa è di 100 mila persone. È una follia, possiamo dare al massimo 20/25 mila impieghi. Un altro dato: questa è la stagione in cui selezioniamo insegnanti per le nostre scuole in Cisgiordania e a Gaza. L’anno scorso, di questi tempi, avevamo mille e 700 domande; oggi ne abbiamo più di cinquemila. Nei mercati di Gaza da tempo ormai le merci non sono più tutte vendute di prima mattina, come succedeva prima. Ma adesso cominciano a rimanere invendute anche al pomeriggio, quando i prezzi calano. È un segno chiaro di un potere d’acquisto che diminuisce. Nelle nostre strutture ospedaliere arriva sempre più gente perché le strutture sanitarie dell’Anp cominciano a non avere medicine o a non avere personale, a causa del blocco degli stipendi».