Sono ormai decine di migliaia i cristiani mediorientali presenti nella penisola arabica. Provengono da Libano, Giordania, Egitto, Territori palestinesi, Siria e Iraq. Ce ne parla il cappuccino svizzero mons. Paul Hinder, che porta sulle sue spalle la responsabilità pastorale delle comunità cattoliche nella grande penisola. La Chiesa d'Arabia, spiega il vescovo, è una Chiesa pellegrina, composta da persone spinte in quelle terre da motivazioni economiche. Ma nessuno ha intenzione di restare in permanenza.
Dal 19 al 21 giugno scorso la rivista Oasis, edita dal patriarcato di Venezia, ha organizzato al Cairo, in Egitto, un incontro del suo comitato scientifico sul tema «Diritti fondamentali e democrazie». Presieduto dal patriarca card. Angelo Scola, il simposio ha visto presenti il card. Peter K. A. Turkson, arcivescovo di Cape Coast (Ghana), mons. Franco Follo, osservatore vaticano presso l’Unesco a Parigi, oltre a patriarchi, vescovi e personalità della Chiesa in Egitto, Tunisia, Algeria, Siria, Pakistan, India. Nutrita la partecipazione di professori di prestigiose università italiane, francesi, tedesche, spagnole, egiziane, indonesiane. L’incontro ha visto anche presenti professori musulmani dell’università di Al-Azhar e membri del World Jewish Congress.
Tra i vescovi presenti, anche mons. Paul Hinder, cappuccino svizzero, vicario apostolico d’Arabia (circoscrizione ecclesiastica che comprende le sei entità politiche che si trovano nella Penisola arabica: Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrain, Oman, Arabia Saudita e Yemen). Terra di grandi contrasti, culla dell’islam, oggi crocevia d’immensi interessi economici, la regione ha visto coagularsi nel giro di pochi decenni una comunità cristiana imponente (almeno un milione e 300 mila fedeli, la maggior parte indiani e filippini), formata da immigrati da ogni parte del mondo e per questa ragione quanto mai variegata dal punto di vista culturale.
La presenza crescente di cristiani provenienti dal Medio Oriente costituisce un legame speciale tra questa regione e la Terra Santa. Per questo motivo abbiamo chiesto a mons. Hinder di aiutarci a comprendere meglio i contorni di questa presenza.
«I cristiani mediorientali presenti in Arabia sono decine di migliaia, di origine giordana, egiziana, libanese, palestinese, siriana e irachena», spiega mons. Hinder. «Un problema particolare è costituito dalla presenza di appartenenti ai diversi riti orientali cattolici, non solo di fedeli latini. Non sempre abbiamo la possibilità di procurare i sacerdoti che possano garantire l’assistenza pastorale nel rito della Chiesa di provenienza. Il vicariato costituisce una unica giurisdizione di rito latino, e questo crea talvolta qualche malumore con i vescovi di altri riti, che stentano a capire le nostre difficoltà nel rispondere a tutte le richieste senza rischiare l’equilibrio labile».
La Chiesa d’Arabia è una «Chiesa pellegrina», spiega ancora il vescovo. «La stragrande maggioranza delle persone è qui per ragioni economiche, ma nessuno pensa di rimanervi all’infinito. I cristiani mediorientali sono qui in vista di un loro ritorno in patria, o in vista di emigrare in Occidente. Questo aspetto rende difficile stabilire relazioni durevoli. Le nostre comunità cristiane sono segnate da una forte instabilità».
E a riguardo della libertà religiosa? «In gran parte dei Paesi del Golfo c’è una situazione di sostanziale libertà religiosa, pur in un quadro di regole ben definite – afferma mons. Hinder -. Viviamo condizioni diverse a seconda dell’entità politica in cui ci troviamo a operare, perché ogni emiro è libero di fare la sua politica religiosa. Godiamo della libertà di culto sul terreno concesso alla parrocchia, ma non abbiamo possibilità di fare attività pubblica». Diverso il discorso per l’Arabia Saudita, dove è vietata ogni religione che non sia quella islamica: «In quel Pese la situazione è molto simile a quella delle prime comunità cristiane. Quello che si può dire è che la nostra è una Chiesa vivace, nelle mani di leader laici che dirigono le molte comunità di base. Una Chiesa che prega e che spera un giorno di potere uscire dalle catacombe».