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Un caffè in santa pace

03/06/2006  |  Gerusalemme
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«Semi di pace» per bersi un caffè in tranquillità e intanto ritrovare il gusto di un dialogo pacato. Sulle piccole cose di tutti i giorni. Gustando magari qualche leccornia tipica della cucina araba o di quella ebraica. L'organizzazione Seeds of Peace ha pensato di offrire un piccolo luogo di incontro a Gerusalemme Est. Un bar diverso dagli altri. Proviamo a raccontarvelo. 


(a.g.) – Gerusalemme, quartiere ebraico di French Hill, nella parte orientale e palestinese della città. Qui il caffè non rende nervosi. Tutt’altro. Il potere di una tazzina sembra anzi più forte della diplomazia.

Ai tavoli del Seeds of Peace Cafe, nel cuore di French Hill, si siedono ogni mese dei convitati che non t’aspetteresti.

Sono israeliani e palestinesi, abitanti della stessa città ma stranieri e nemici come in nessun’altra parte del mondo.

Il nome del locale è indicativo Seeds of Peace: «Semi di pace». È lo stesso dell’organizzazione che ha dato vita a questo singolare ritrovo, un’associazione del Medio Oriente impegnata a far nascere l’amicizia tra giovani israeliani e palestinesi. Sei mesi fa ha pensato che per gli adulti i semi di pace potevano essere quelli di un caffè.

Nella seconda decade di maggio il quotidiano israeliano Jerusalem Post ha cercato di indagare sul successo di questo frequentato «bar». La qualità della caffeina c’entra poco. «Una volta al mese, la domenica sera – ha spiegato al giornale Dorothy Harman tra i coordinatori del progetto – il Seeds of Peace Cafè offre alla gente un’occasione meravigliosa per incontrarsi, conoscersi e parlare di questioni comuni. Anche le più banali, come il cibo, le sit-com o i piccoli problemi quotidiani».

Non mancano però discorsi più impegnati dal punto di vista culturale, legati all’architettura, al design, all’arte in generale. Questo mese il locale ha ospitato una mostra dell’artista Azriel Cohen con dipinti raffiguranti i caffè di Gerusalemme est e ovest.

Cohen stesso ha organizzato l’evento invitando numerosi proprietari di ristoranti e bar delle due zone della città. Ha quindi chiesto loro di portare i propri piatti tipici dando così a tutti la possibilità di assaporare le bontà di due cucine attigue ma diverse: spiccavano i dolci arabi oltre all’aroma del caffè, quello nero turco e del più popolare hafuch (cappuccino).

Così tra una leccornia e l’altra, i proprietari hanno potuto visitare, se pur virtualmente, i caffè dei loro colleghi.

Cohen ha motivato la scelta dei suoi soggetti artistici: «C’è stato un periodo in cui ho frequentato con timore i caffè per paura degli attacchi terroristici. Poi mi sono fatto coraggio e ho finito per dipingere tutti i "bar" di Gerusalemme ovest. Ma era un quadro incompleto – ha ammesso – Così ho fatto lo stesso con i caffè della zona orientale. E sono rimasto stupito dall’accoglienza di questi locali».

Alcuni partecipanti al progetto Seeds of Peace Cafè, come Raed Saadeb, proprietario del Jerusalem Hotel ha confidato che sono soprattutto gli israeliani a non conoscere la vita e la cultura di Gerusalemme est, perché i palestinesi sono solitamente più aperti al mondo israeliano.

Il Caffè Seeds of Peace non è però luogo per evidenziare contrasti. Le differenze sono al contrario accettate nel reciproco rispetto per intraprendere una strada nuova. «Questo locale – ha tenuto a precisare ancora Dorothy Harman, non è né un’accademia, né una piattaforma politica. Ma solo un posto in cui le persone familiarizzano con la cultura dei propri vicini partendo da un terreno comune».

La stessa musica del locale è un mix di melodie arabe e israeliane che contribuisce all’aroma diverso che qui si respira. Ed è tutta un’altra musica verrebbe da dire. Piccoli miracoli di una tazzina.

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