Il vicario apostolico (di rito latino) della città siriana di Aleppo conversa con il nostro inviato e racconta di una comunità cristiana vivace ma sempre meno consistente sotto il profilo numerico.I cristiani emigrano o vanno a stabilirsi in altre regioni della Siria alla ricerca di condizioni economiche meno svantaggiose. Un esodo cominciato con la nazionalizzazione dell'istruzione e la confisca delle scuole cattoliche iniziata dopo la sconfitta nella Guerra dei sei giorni del 1967.Oggi la comunità cattolica celebra la liturgia con grande fede e può contare sul contributo di personale e mezzi offerto da istituti religiosi maschili e femminili. Proprio tra le suore vi sarà presto una nuova presenza, targata Italia e all'insegna della vita monastica contemplativa.
Custode di Terra Santa dal 1992 al 1998, vicario apostolico di Aleppo dal 2002, mons. Giuseppe Nazzaro è frate minore originario della diocesi di Avellino. Da quando ha la responsabilità dei cattolici latini (circa 18 mila in tutto il vicariato, 6 mila solo ad Aleppo), risiede in un vecchio palazzo del centro, nel cuore del quartiere cristiano di Azizieh. Aleppo è ancora oggi una delle località del Medio Oriente dove è più viva la presenza cristiana, ma le difficoltà legate all’emigrazione massiccia si stanno facendo sentire. Un fenomeno che sta cambiando l’immagine della città, per secoli indicata come la culla del cristianesimo.
Monsignor Nazzaro, quale è oggi il volto della Chiesa di Aleppo?
Nel 1967 Aleppo contava un milione di abitanti. La metà era cristiana. Oggi gli abitanti sono 3 milioni, con 220 mila cristiani, di cui circa la metà cattolici dei vari riti. L’esodo dei cristiani è avvenuto prima di tutto a causa della nazionalizzazione dell’istruzione e alla chiusura delle scuole cattoliche decisa dal regime di Damasco dopo la Guerra dei sei giorni. Moltissime famiglie cristiane e molti professori hanno lasciato la città, passando in Libano e da lì all’estero. Poi la crisi economica e la chiusura politica hanno fatto il resto. Oggi non è rimasto granché della grande Chiesa di Aleppo.
Accanto alla diaspora verso l’estero c’è stata anche una forma di migrazione interna…
Sì, c’è stata. E questo ha permesso soprattutto ai cattolici di rito latino di non diminuire drasticamente nel numero. Si sono svuotati i villaggi dell’Oronte, i cui abitanti si sono trasferiti ad Aleppo per lavorare. Ma questo fenomeno d’immigrazione interna ha innescato anche qualche problema d’integrazione, non ancora superato nelle comunità cristiane.
L’identità cristiana è ancora viva in città?
Certo, la presenza cristiana esiste e si fa sentire ancora in città, ma abbandona gradualmente certi luoghi e certi quartieri. Va a cercare posti più sicuri fuori. Il quartiere di Azizieh, tradizionalmente cristiano, è piano piano occupato da negozi musulmani. Da questo punto di vista possiamo dire: c’era una volta l’Aleppo cristiana. Il motivo di questo abbandono è di carattere economico: di fronte alla crisi si cerca di vendere bene e si va altrove, dove costa meno. Il musulmano non bada a spese, specie se si tratta di un quartiere ritenuto cristiano. In Medio Oriente c’è l’idea dell’islamizzazione della proprietà… Acquistare nel quartiere dei cristiani significa rendere islamica quella terra, e la terra islamizzata non può essere rivenduta ad un infedele.
La presenza religiosa è ancora vigorosa?
Anche qui segniamo il passo rispetto al passato. Ad Aleppo sono rimaste tre famiglie religiose: francescani, salesiani e gesuiti. Noi francescani siamo impegnati nella pastorale diretta, i gesuiti e i salesiani sono più attivi nella pastorale giovanile, nelle scuole di catechismo, pastorale famigliare. Ci sono diverse famiglie religiose femminili: le suore di san Giuseppe dell’Apparizione, le suore dei Santi Cuori, le francescane, le salesiane, le dorotee, le suore di Madre Teresa, le suore carmelitane. I campi d’impegno sono i più vari: dai vecchi ai più piccoli, dalle famiglie agli studenti universitari. Ma mediamente l’età delle religiose è abbastanza elevata.
Le comunità cristiane sono molto vivaci, le celebrazioni eucaristiche straripano di gente… Ci sono segnali di speranza.
Certo. Basta partecipare alle nostre messe per rendersi conto di quanta fede ci sia ancora ad Aleppo come nel resto della Siria. Proprio per questa ragione credo che le famiglie religiose debbano seriamente riflettere sul loro impegno qui. La Siria, nonostante le difficoltà, è un terreno da sempre fertile per la Chiesa. Non dobbiamo abbandonarlo. Anzi. Dobbiamo rafforzare la nostra presenza e aumentare i nostri sforzi.
Una novità di questi ultimi mesi fa ben sperare. Tre suore trappiste di Valserena sono ad Aleppo perché incaricate di aprire una fondazione monastica nella provincia di Homs-Tartus. La Chiesa siriana sarà insomma fortificata anche dalle preghiere di queste donne consacrate alla vita contemplativa.